La macchina immaginaria del complotto fra stregonerie, disprezzo e timori
Per Carlo Ginzburg l’incontro con i Protocolli dei savi di Sion ha avuto un risvolto inaspettato e del tutto personale. In quella traduzione italiana, scovata anni fa con fatica in una libreria antiquaria di Bologna, lo studioso, scrittore e autore di opere fondamentali per la storia della religiosità e delle credenze popolari, oggi docente alla Normale di Pisa, si trovò infatti di fronte al nome di famiglia. Storpiato in Gintzburg compariva nell’elenco di ebrei italiani che accompagnava quell’edizione pubblicata nel 1938, in piene leggi razziali. Per il professore, figlio di Natalia e di Leone Ginzburg, occuparsi dei Protocolli e della teorie del complotto che vi sono sottese, come ha fatto nel saggio Il filo e le tracce – Vero, falso, finto edito da Feltrinelli, ha dunque un significato particolare.
“Questo testo immondo – spiega – è in gran parte il plagio del Dialogue aux enfers entre Machiavel et Montesquieu di Maurice Joly, un saggio appassionante che è divenuto una sorta di testo classico del pensiero politico. C’è da chiedersi come sia possibile che un’opera così raffinata e dagli elementi profetici sul tema dell’autoritarismo abbia generato un’immondizia come i Protocolli”. La costruzione della grande menzogna si alimenta della teoria del complotto che, ricorda il professore, può essere fatta risalire al 1321, anno in cui si sparse la voce che i lebbrosi volevano avvelenare i pozzi perché istigati dagli ebrei che a loro volta potevano essere stati istigati dai musulmani. Una diceria che si ripetè ai tempi della grande peste nel 1348. “Non si tratta di pure fantasie – dice Carlo Ginzburg – dietro chi diffonde queste teorie c’è infatti un preciso programma aggressivo che è quello di colpire un determinato gruppo”. E non deve stupire che da questo punto di vista gli ebrei, per uno slittamento dello stereotipo, siano spesso assimilati alle streghe: entrambi misteriosi e pericolosi per la società e l’ordine costituito.
La visione dell’ebreo su cui si poggia l’idea della grande cospirazione va però fatta risalire ancor più indietro nel tempo. “I Protocolli nascono in contesto sociale avanzato, industriale, in cui gli ebrei nella grande maggioranza dei casi sono liberi, bene inseriti e costituiscono una parte attiva della società. La lontana premessa sta però in una visione più antica, complessa e molto ambivalente da parte cristiana per cui il cristianesimo deriva dall’ebraismo e ne è il superamento. Vi è dunque un rapporto duplice, in cui il disprezzo si intreccia al timore perchè l’ebreo è visto al tempo stesso come inferiore e superiore, come animale spregevole ed essere attivo e capace di penetrare la società. E’ una mescolanza che rende molto diverso l’antiebraismo dal razzismo inteso in senso generale e che consente di accreditare l’idea di un complotto ordito da parte ebraica ai fini di dominare il mondo”.
È quest’elemento fantasmagorico a consentire alla tesi cospirativa di superare indenne i secoli. “L’idea del complotto è molto plastica, si adatta facilmente alle situazioni e alle necessità. Non a caso Hitler dichiarò che bisognava imparare dai Protocolli come impadronirsi del potere. Ad assicurare la vitalità della teoria è l’elemento fantasmagorico. La congiura è una macchina immaginaria che può riempirsi di proiezioni e contenuti disparati. Ed è chiaro che gli ebrei, percepiti per storica ambivalenza come esseri al potentissimi e spregevoli, hanno, come cospiratori, una possibilità di presa molto forte sull’opinione pubblica”. E proprio questa carica fantastica, dice il professore, spiegherebbe uno dei fenomeni più sconcertanti del nostro tempo: quell’antisemitismo senza ebrei che dal dopoguerra ha colpito i paesi dell’Est europeo.
Il fatto che la cospirazione non abbia alcun fondamento non è assolutamente rilevante. Ed è qui, forse, la chiave di volta dell’intera questione. “Come osservò monsignor Jouin, che li aveva tradotti in francese, ‘Poco importa che i Protocolli siano autentici; basta che siano veri’. Qualsiasi confutazione lascia cioè il tempo che trova davanti alla presunta verità che il lettore può trovare in quel testo”. Come dire, i Protocolli possono anche essere fasulli ma ciò che è dicono è talmente realistico da risultare veritiero.
Le armi per difendersi, davanti a questo e ad altri falsi, non possono essere altro che l’attenzione e il rigore intellettuale. “Bisogna stare in guardia. Il fictional, i romanzi, la tv o cinema sono parte delle nostre vite così come i complotti che davvero esistono. Ma si deve imparare a capire dov’è la distinzione tra vero, falso e finto”. Anche se il pronostico per il futuro non può che essere triste (“perfino un po’ banale”). “Se i Protocolli hanno proliferato fino a questo punto grazie ai soli mezzi di riproduzione di stampa figuriamoci cosa può accadere oggi con le prospettive aperte da internet. Purtroppo la loro fortuna è destinata a crescere ancora con il tempo insieme a quella di tanti altri falsi che circolano online”.
Da Pagine Ebraiche, ottobre 2010 – Dossier a cura di Daniela Gross e Daniel Reichel