Nel mare immenso e velenoso della giudeofobia russa

Una vita da accademico, storico e letterato di valore non basta. Una cattedra di lingua e letteratura russa e altri prestigiosi incarichi universitari non bastano. E la conoscenza profonda dell’immenso oceano culturale e sociale della grande Russia nemmeno. Per capire i misteri di un libraccio di infima categoria, zeppo di errori ortografici e di ridicole inflessioni dialettali che fanno inorridire i puristi della lingua russa, ci vuole anche una certa attitudine da detective. Nella sua biblioteca privata ci sono i grandi classici, i volumi rari, i libri trovati sulle bancarelle e quelli fotocopiati nelle biblioteche di tutto il mondo. E in un angolo anche alcune perle dell’odio antisemita italico da Julius Evola alle edizioni di Franco Freda (“guardi, guardi pure, poi se crede la accompagno a lavarsi le mani”). Tutto per ripercorrere le vicende inspiegabili dei Protocolli, lo stratificarsi delle diverse edizioni dei falsi dell’odio. “I Protocolli – spiega Cesare Giuseppe De Michelis, considerato fra i massimi esperti mondiali di questa materia e autore fra l’altro de Il manoscritto inesistente. I Protocolli dei savi di Sion: un apocrifo del XX secolo (Marsilio) e La giudeofobia in Russia (Bollati Boringhieri) – non vengono dalla cultura russa, ma lì, come è tristemente noto, trovarono fertile terreno.
Non si spiegherà mai abbastanza, però, che dal punto di vista della società russa e della sua giudeofobia costituiscono solo uno dei numerosissimi esempi di pubblicazioni tese a supportare l’odio antiebraico. Uno fra tanti, e forse nemmeno il più sofisticato”. “Della storia dei Protocolli sappiamo ormai quasi tutto. La costruzione del falso, la sua circolazione, le diverse revisioni. Si tratta di una saga lunga e complessa di cui si scopriranno ancora aspetti nuovi e risvolti rocamboleschi. Ma questo vale forse più per gli studiosi che per i comuni cittadini”. Il professore parla e allinea sul tavolo le diverse versioni del celebre falso che fu utilizzato per aizzare l’odio delle masse, caro ai responsabili dei campi di sterminio, citato nel diario del comandante di Auschwitz, ripreso per puntellare il sudiciume dato alle stampe sulle pagine de La difesa della razza. “Quello che forse più conta – aggiunge – sarebbe conoscere meglio il grande mare dell’antisemitismo russo e questa pentola colma di veleni nascosta negli anni dell’Urss e che ora torna a bollire sui fornelli. E allora bisogna leggere non solo alcune pagine ambigue e rivelatrici che si trovano in molti grandi classici della letteratura russa, ma anche Alexander Solgenitsin”.
Il professore prende dagli scaffali l’ultimo grande libro del Nobel e dissidente sovietico. Il titolo in italiano è Duecento anni insieme. Due volumi per parlare della storia degli ultimi due secoli di convivenza fra russi e ebrei, dove il “noi” (russi) e il “voi” ebrei si fa martellante e l’accusa di aver puntellato la rivoluzione del 1917 striscia fra le pagine come il grande serpente della congiura fra le pagine dei Protocolli. Nessuna professione formale di antisemitismo, per carità. Ma quantomeno un clima di malsana ambiguità e l’asserzione che la minoranza degli ebrei è per sempre destinata a restare un corpo estraneo. E in un modo o nell’altro dovrebbe scusarsi di esistere.

Da Pagine Ebraiche, ottobre 2010 – Dossier a cura di Daniela Gross e Daniel Reichel