Scienza, nazionalismi e un tocco esoterico. Così divampa il mito malato della razza

Il filo del pregiudizio attraversa i secoli. Pesca dalle scienze naturali e dal nazionalismo. Non disdegna un tocco esoterico e apprezza sempre la vecchia teoria del complotto. È quest’intreccio a generare l’ideologia antisemita d’epoca fascista in una particolare declinazione, che si rivelerà micidiale, in cui la biologia si unisce all’esoterismo incanalandosi lungo l’alveo delle teorie cospirazioniste veicolate dai Protocolli dei savi di Sion. A rintracciare gli argomenti del razzismo italiano ne La difesa della razza, la rivista pubblicata sotto l’egida del ministero della Cultura fra il 1938 e il 1943 è Valentina Pisanty, semiologa e ricercatrice all’università di Bergamo dove insegna filosofia del linguaggio e semiotica del testo che nel libro La difesa della razza: antologia 1938 – 1943 (Bompiani 2006) propone, attraverso l’analisi dei testi pubblicati dal periodico, una riflessione storica, culturale e sociale sul razzismo italiano.
Professoressa Pisanty, quali sono i leit motiv antisemiti che emergono dalla rivista La difesa della razza?
Bisogna tener conto dei rapporti complessi tra il razzismo storico e l’antisemitismo, che si inserisce in una mentalità razzista diffusa. Nell’epoca della Difesa della razza in Italia si ritrovano essenzialmente tre filoni: il razzismo biologico, quello nazionalista e quello esoterico, nel dopoguerra più diffuso sotterraneamente. Il razzismo biologico, che ha tra i suoi esponenti Giorgio Almirante e i cosiddetti scienziati razzisti, è dominante in epoca fascista, soprattutto quando l’Italia adotta politiche ispirate a quelle tedesche ed è una forma che riaffiora continuamente come visione delle razze fondate biologicamente e immodificabili. La forma del nazionalrazzismo, allora sostenuta dalla Chiesa, è quella che ritroviamo tutt’ora applicata a gruppi minoritari ed è l’idea di un’identità fondata in una cultura diversa, fissa, sclerotizzata: quasi una seconda natura che esclude la possibilità d’integrazione. È un approccio che non si applica tanto agli ebrei quanto a gruppi come i rom. Il filone oggi più interessante, all’epoca minoritario, faceva capo a Julius Evola e aggancia l’idea di razza a uno sfuggente substrato mistico che ritiene vi sia una disposizione ad agire in determinati modi innata, anche se non agganciata a geni e biologia ma a essenza spirituale. Nel caso degli ebrei lo spirito atavico li indurrebbe a cospirare contro l’ordine precostituito e perseguire potere mondiale. Quest’idea della cospirazione sotterranea è applicata preferenzialmente agli ebrei dai Protocolli dei savi di Sion in poi.
Per quale motivo?
Non avendo un territorio loro gli ebrei erano sparsi in tutt’Europa. La rete delle relazioni era dunque transazionale ed era sufficientemente inquietante per chi non abituato a questo tipo di contatti. Durante le persecuzioni, poi, le strategie di sopravvivenza spesso chiamavano in causa parenti e amici fuori del paese di residenza. A questi dati oggettivi si sommano ragioni di tipo mitico. Ad esempio il discorso del capro espiatorio, della minoranza priva di diritti a cui si attribuiscono colpe per distrarre l’attenzione da problemi reali. C’è anche una sorta d’invidia che da secoli circonda le comunità ebraiche in base a una distorta lettura del principio di elezione. Il popolo del libro, che sosterrebbe di avere un principio d’alleanza con il Signore e che in forza delle persecuzioni mantiene un principio d’identità e non subisce il ricatto di un’assimilazione forzata, finisce per risvegliare l’ostilità di chi non capisce perché questo avviene.
E’ una visione della storia che ha tratti vagamente paranoici.
I teorici della cospirazione, come i revisionisti oggi, hanno in effetti una tendenza un po’ paranoide per cui interpretano la storia e il presente come percorsi da regia occulta che manipola il corso degli eventi. La chiave del complotto è semplificatoria in una realtà che si fa sempre più complessa, evita di entrare nei dettagli e assumere responsabilità.
In che modo queste correnti si rispecchiano nella rivista che fu portavoce del fascismo italiano?
Lottano fra loro e fanno capo a diversi gruppi tra cui la contrapposizione è fortissima, tanto che a un certo punto c’è un vero scontro tra Evola e Almirante per ottenere i favori del duce. Nella realtà le diverse visioni possono però intrecciarsi e collaborare.
Qual è il filone più pericoloso?
Ciascuno dei tre ha dimostrato di essere perfettamente in grado di giungere alle estreme conseguenze. Il razzismo nazionalista, se tenuto sotto controllo, corrisponde alle tendenze che tutt’ora ritroviamo e non esclude a priori che un individuo possa nelle generazioni assimilarsi. Ciò non lo rende meno peggiore ma offre una chance in più del razzismo biologico che esclude qualsiasi forma d’integrazione. La combinazione tra quest’ultimo e il razzismo esoterico ha invece portato, finora, all’esito storico più drammatico. Il che non esclude che altre mescolanze non possano rivelarsi altrettanto pericolose.
Qual è il rischio principale insito nel razzismo biologico?
Ciò che va combattuto è l’idea che i gruppi umani siano caratterizzati da attributi considerati come immodificabili anche quando sono positivi. Anche dire che gli ebrei sono molto intelligenti è una forma di razzismo. Va infatti rifiutata ogni generalizzazione, anche se proposta in forma leggera o conversazionale, sia che si basi su presupposti biologici, nazionali e culturali. Generalizzare significa prevedere i comportamenti degli individui sulla base della loro appartenenza appiattendone così le individualità. Quando accade siamo già oltre il confine del pericolo. Se poi un governo, anziché tamponare in modo responsabile le forme di xenofobia e spiegare le cavalca per suoi obiettivi politici siamo al razzismo di stato e sappiamo cosa può accadere.
Veniamo all’oggi: cosa resta dei pregiudizi antisemiti maturati nel secolo scorso?
Il negazionismo, che non si regge senza la teoria del complotto. La sua tesi è infatti che la Shoah non sarebbe mai avvenuta ma sarebbe una colossale opera di falsificazione attraverso una regia occulta delle fonti che attestano lo sterminio ebraico. Forse oggi il negazionismo è la forma più diffusa del cospirazionismo applicato a ebrei. Alla fine degli anni Settanta e Novanta era molto diffuso in Italia ma è poi tornato ai margini per trasferirsi nei paesi arabi dove non esisteva prima che autori europei e statunitensi sentendosi perseguitati in patria ce lo portassero negli anni Novanta. Il caso più vistoso è quello di Romain Garaudy che si converte all’Islam e collega l’antisionismo al negazionismo provocando in Francia uno scandalo mediatico. Fino ad allora la Shoah era considerata nel mondo arabo una questione relativa al mondo occidentale: il pensiero diffuso era che fosse ingiusto scaricare sul Medio Oriente un problema un problema dell’Occidente.
I Protocolli dei savi di Sion oggi si sono diffusi nel mondo arabo e anche lì continua a provocare sentimenti d’antisemitismo. Sembrano un’opera inossidabile al trascorrere del tempo e delle latitudini.
Il meccanismo retorico che ne è alla base è piuttosto elementare. Quando si vuole delegittimare il nemico e farlo apparire tentacolare e inaffidabile gli si attribuisce una duplicità. La cosa che colpisce nelle varie rappresentazioni antisemite è la contradditorietà dello stereotipo che vede l’ebreo come comunista e capitalista, guerrafondaio e imbelle, attributi risolti con l’idea dell’ebreo levantino, doppio e finto. La doppiezza alla fine è individuata non nella contraddizione del razzista ma nell’ebreo stesso.
In che modo il pregiudizio razzista si sviluppa oggi in Occidente?
Una volta in Europa gli ebrei erano gli unici immigrati. Il tipo di razzismo applicato agli altri era di tipo coloniale (l’altro è inferiore per cui lo conquisto) mentre verso gli ebrei mirava all’esclusione. Il problema è che oggi si sfruttano persone che stanno in casa nostra per cui le modalità razziste si sono intrecciate. Adesso l’immigrato è al tempo stesso materia di sfruttamento e minaccia alla propria cultura. È molto contradditorio perché si vorrebbe al tempo stesso sfruttare e allontanare. Ci sono motivi di grave preoccupazione, ad esempio nei confronti dei rom che essendo il più indifeso dei gruppi e il meno utile dal punto di vista produttivo è sempre pronto a fungere da capro espiatorio. Ma non si deve trascurare un altro fenomeno per cui di tanto in tanto vengono isolati come pericolosi gruppi specifici e poi reintegrati. Pensiamo a quanto accaduto in anni recenti con gli albanesi o con i rumeni.

Da Pagine Ebraiche, ottobre 2010 – Dossier a cura di Daniela Gross e Daniel Reichel