Dal Golem a Jean Luc Godard la bugia è sul grande schermo

L’ antisemitismo d’ispirazione cristiana, largamente diffuso nella società europea, ha influenzato fortemente la rappresentazione degli ebrei nella letteratura e le arti visive. Neanche il cineasta Jean Renoir, le grande humaniste, riuscì a evitare stereotipi antisemiti quando mise in scena personaggi ebrei. In La Grande Illusion il tenente Rosenthal, interpretato da Marcel Dalio, è un ricco ebreo, proveniente da una famiglia di banchieri di origini straniere, mentre il party decadente de La Règle du Jeu è organizzato dall’ebreo Robert de La Chesnaye. L’ebreo ricco, straniero, immorale, decadente. Sono solo alcuni degli stereotipi dell’antisemitismo tradizionale dell’Europa cristiana che saranno poi ripresi e amplificati dalla propaganda nazista. Il Golem del 1920 è una rappresentazione ambivalente degli ebrei visti, nello stesso tempo, come vittime e oppressori. Ispirandosi alla nota leggenda del rabbino Loew di Praga e della creazione del Golem, il regista Paul Wegener raffigura gli ebrei come una minoranza senza diritti, vittima di un potere autoritario ma, anche, come outsider pericolosi, capaci di trasformarsi e nascondersi tra i gentili e corromperne la purezza. In seguito, Paul Wegener lavorò in film di propaganda nazista e non a caso troviamo somiglianze tematiche e strutturali tra Il Golem e il tristemente famoso Suss l’Ebreo, il film paradigma del cinema nazista, nel quale tutte le potenzialità antisemite de Il Golem furono realizzate. Centrale, nel Suss di Veit Harlan, è l’idea dell’ebreo capace di camuffarsi in un non ebreo mantenendo intatta la sua essenza ebraica: è l’ossessione nazista per l’ebreo assimilato, impossibile da distinguere dagli altri. Insieme a questo tema, il film propone altri stereotipi: il cosmopolita senza patria, il parassita, il depravato che corrompe le donne gentili e rappresenta un pericolo per la purezza della razza, lo sfruttatore/capitalista che succhia il sangue delle classi popolari, il rivoluzionario, l’anarchico e il cospiratore. Il film ebbe un grandissimo successo e fu proiettato per preparare la popolazione alle deportazioni dei concittadini ebrei. Speciali proiezioni furono organizzate per i soldati incaricati dei rastrellamenti e delle deportazioni. Suss l’Ebreo fu un potente mezzo di trasmissione di costrutti antisemiti alle masse. Questi stereotipi continueranno, seppure in maniera più sottile, a essere usati nel cinema europeo: un esempio è La Terra della Grande Promessa del 1974. Qui, il regista Polacco Andrzej Wajda introducendo il personaggio della tentatrice ebrea, insaziabile di cibo e denaro, che porta alla rovina gli uomini che incontra, all’interno di una storia di nobili polacchi decaduti e un gruppo di ebrei stranieri arricchiti, perpetua stereotipi antisemiti. Assistiamo a una sorta di cortocircuito quando il cinema, usato in Europa per attaccare gli ebrei, è, negli Stati Uniti, a sua volta, attaccato perché in mano agli ebrei. Hollywood, creata da immigrati europei chiamati Goldwyn, Fox, Mayer, Warner, ispirati dalla tradizione del teatro Yiddish, fu, infatti, oggetto di attacchi virulenti da parte degli antisemiti. Già negli anni che precedettero la Grande Depressione, rappresentazioni dell’ebreo ispirate a Shylock o Giuda, (l’antico pregiudizio usato per esprimere una crescente antipatia verso gli immigrati) e storie di cospirazioni ebraiche (alimentate dalla diffusa paura per i cambiamenti sociali causati dalla modernità) iniziarono a comparire sui giornali e nella letteratura americani. In un libro per ragazzi, Tom Swift and His Talking Pictures (Tom Swift e i suoi film) scritto da Victor Appleton nel 1928, il giovane protagonista Tom Swift deve confrontarsi con un gruppo di magnati del cinema ebrei e il loro anarchico agente Jacob Greenbaum, per il controllo di una favolosa invenzione: la televisione. Nel 1941 il celebre aviatore e isolazionista Charles Lindbergh (lo stesso Lindbergh che Philip Roth immagina presidente di un’America sempre più ostile verso gli ebrei ne Il Complotto contro l’America) dichiarò: “il più grande pericolo per questa Nazione (gli USA) risiede nella grande influenza e controllo che gli ebrei hanno sul cinema”. Dopo la guerra e la scoperta dei campi di concentramento nazisti, s’iniziarono a registrare delle reazioni all’antisemitismo della società americana. Il 1947 è l’anno di due film molto diversi tra loro: Barriera Invisibile e Oliver Twist. Elia Kazan, firmando la regia di Barriera Invisibile, mette in scena la storia di Philip Green, un affermato giornalista, che, incaricato di scrivere un reportage sull’antisemitismo nella società americana, si finge ebreo sperimentando, così, in prima persona il diffuso pregiudizio antiebraico. Nel film l’ebreo Green, essendo in verità non ebreo, manca dei manierismi dello stereotipoantisemita, ma è odiato lo stesso per la sua presunta identità. Prodotto da Daryl Zanuck, Barriera Invisibile è un film interessante: la discriminazione antiebraica è denunciata perché ingiusta in quanto nega l’uguaglianza tra gli uomini, ma la condanna arriva nel momento in cui a soffrirne è un non ebreo, al quale lo status di eguale non può essere negato. Fresco del successo ottenuto in Inghilterra, l’Oliver Twist di David Lean, fu oggetto di pesanti polemiche che ritardarono la sua distribuzione negli Stati Uniti. Il Consiglio rabbinico di Manhattan e l’Anti Defamation League esercitarono pressioni sul governo americano affinché il film fosse vietato. Albert Deutsch, in un editoriale del New York Star, dichiarò che il film avrebbe provocato ondate di antisemitismo. Se alcuni videro dietro queste proteste un sentimento antibritannico che rifletteva la critica dell’opinione pubblica ebraica alle politiche messe in atto dal governo di Londra nella Palestina del Mandato, è vero che il Fagin interpretato da Alec Guiness, ripugnante e malvagio, col grosso naso, ricalcava quegli elementi dell’antisemitismo tradizionale utilizzati più volte dai nazisti soltanto qualche anno prima. Una versione tagliata e rimontata di Oliver Twist fu distribuita negli Stati Uniti solamente nel 1951, mentre in Israele il film non fu ammesso. Oggi l’antisemitismo si diffonde, senza resistenze, mascherato da antisionismo. Gli attacchi al diritto di esistere di Israele sono attacchi contro gli ebrei. Horsemen without a Horse è una serie televisiva egiziana che narra i tentativi di un gruppo di ebrei di nascondere l’esistenza dei Protocolli dei savi di Sion, mentre la serie Siriana Al – Shattat racconta la storia degli ebrei come una storia orientata dalla brama di controllo del pianeta. L’antisemitismo arabo fa uso degli stessi stereotipi e immagini dell’antisemitismo europeo cristiano metodicamente utilizzati dai nazisti. Jean- Luc Godard in Ici et ailleurs (Qui e altrove, 1976) montava in sequenza un ritratto di Hitler, una foto di Golda Meir e l’immagine del cadavere carbonizzato di un palestinese. In Notre musique (2004) Godard narra una storia in cui gli ebrei sono usciti dai campi di concentramento per cacciare i palestinesi dalla loro terra. Il film mescolando riflessioni sul cinema, la Shoah, Israele, la Palestina, il genocidio degli indiani d’America e la guerra in Bosnia, utilizza il pregiudizio antisemita per mettere in scena un presunto senso di colpa ebraico verso Israele e allontanare così i fantasmi delle persecuzioni. Dopo tanti film usati per attaccare gli ebrei, ecco un film intellettualistico, che equipara vittime e aggressori e, ancora una volta, scarica le colpe dell’Occidente sugli ebrei.

Rocco Giansante