Il dibattito e l’ipotesi del rapimento

Sotto il cielo di Roma affronta aspetti significativi, e come tali considerati ancora oggetto di giudizi contrapposti, del complesso e difficile pontificato di Pio XII durante la seconda guerra mondiale. Nel valutare l’opera due sono i parametri ai quali affidarsi. Il primo rinvia alla veridicità o, quanto meno, alla verosimiglianza dei dati storici che sono citati nel film. Il secondo, invece, demanda alla libertà di raffigurare un personaggio storico dentro una narrazione che è anche libera ricostruzione. Nel mezzo si colloca lo spazio della licenza intellettuale, che è legittima quando ciò che ci viene consegnato del passato non è stravolto o manipolato, mentre diventa arbitrio quando ne subisce un deliberato ribaltamento di significato.
Il senso che si ricava dall’intera produzione è che lo sforzo degli autori sia stato premiato, ma laddove le zone di luce hanno conosciuto un’ancora maggiore intensità. Meno accettabili sono invece quei passaggi, con scarsi riscontri storiografici, che rinviano con certezza all’ipotesi di un rapimento per parte dei tedeschi. Così come ripetute sono le imprecisioni che rivelano molte concessioni alla dimensione drammaturgica del pari a certa tensione agiografica. Diciamo però subito che la materia trattata è, nel suo insieme, ancora incandescente, demandando non solo alla fondamentale questione del rapporto intercorso tra Eugenio Pacelli e il mondo ebraico ma, più in generale, all’atteggiamento assunto dal suo pontificato nel merito dei complessi rapporti con gli opposti schieramenti di belligeranti e, più nello specifico, verso la Germania, con la quale colui che era già stato nunzio apostolico tra il 1917 e il 1930, intratteneva un rapporto molto stretto.
Pio XII era un papa “concordatario”, avverso al radicalismo dei nazisti. Durante il suo pontificato si interrogò ripetutamente sulla compatibilità tra la Chiesa e i regimi liberali, ben sapendo che alla modernità si dovesse dare una risposta non meno “moderna”. La sua stessa figura, di uomo di pensiero, a tratti quasi dilemmatico, si confrontava e si scontrava con una realtà bellica dietro la quale intravedeva il configurarsi di nuove egemonie politiche, intese come non meno pericolose di quelle declinanti.
L’arco di tempo raccontato dal minisceneggiato è quello che va dal bombardamento alleato di Roma, il 19 luglio 1943, alla liberazione per parte angloamericana il 4 giugno dell’anno successivo. Un periodo di tempo piuttosto breve, meno di un anno, durante il quale però l’Italia subì, in rapida successione, la caduta del regime mussoliniano, il mutamento di alleanze militari e politiche, la fuga della monarchia, la feroce occupazione nazista, la disintegrazione dell’esercito così come lo sfaldamento di molte delle pubbliche amministrazioni, l’avvio della lotta partigiana, la reviviscenza di un fascismo tracotante e sanguinario. La guerra entrò definitivamente nelle case degli italiani poiché fu il paese stesso a diventarne il teatro. La solitudine era l’elemento preponderante. La popolazione, a Roma come in tutta l’Italia occupata, rimase di fatto abbandonata a sé. Tra questi gli ebrei, che in quei drammatici giorni vivevano una condizione di gravosa sospensione, condividendo, con tanti altri, le fragili speranze di una soluzione tanto veloce quanto indolore.
Lo sviluppo degli eventi si è poi incaricato di dirci dell’illusoria ingenuità di tali ipotesi. Su di essi, infatti, cadde da subito la mannaia nazista, che già ai primi di ottobre del 1943 aveva pianificato la deportazione sistematica. In questo contesto, di per sé estremamente problematico, poiché innumerevoli erano le variabili che entravano simultaneamente in gioco, si inseriva il magistero morale, ma anche e soprattutto l’agire temporale, di Pio XII. Il quale per più aspetti svolse il ruolo che gli competeva con calcolata misura sul versante diplomatico, l’unica vera leva d’azione politica a sua disposizione, insieme all’apertura dei conventi ai perseguitati.
Ciò facendo non si rivelò indifferente al destino degli ebrei pur non eleggendolo a esclusiva priorità del suo operato. Non diversamente, va ribadito, da quanto facevano le cancellerie alleate.
In tale condotta concorsero più fattori, a partire dal duro isolamento che la Santa Sede scontava in quegli anni, del pari alla sua debolezza, così come i rischi che l’occupazione tedesca comportava. Pare peraltro oramai veramente poco attendibile la “leggenda nera” che vuole il pontefice in qualche modo acquiescente alla volontà di Hitler.
Sull’intensità dell’intervento papale, prima ancora che sulla sua efficacia, è invece ancora necessario discutere. Poiché un aspetto fondamentale, in quella storia, è la tonalità delle proteste che, forse, avrebbero potuto condurre il convoglio dei deportati romani, partito il 18 ottobre, invece che ad Auschwitz verso Mauthausen. La qual cosa avrebbe fatto la differenza tra la vita e la morte per non pochi. Ma non è quest’ultima materia cinematografica, non potendo chiedere a una pellicola di indagare su quei brusii di allora che, nel tempo, si sono trasformati nei boati di oggi.

Claudio Vercelli, storico