Il mondo ebraico nell’ombra e senza un carattere

La presentazione televisiva della fiction prodotta da Ettore Bernabei sulla Roma tra il 1943 e il 1945, Sotto il cielo di Roma, lascia aperte molte questioni e darà probabilmente vita ad un vivace dibattito, in cui sarà possibile forse intervenire ancora. Ci limitiamo per ora a sollevare alcuni punti generali. La scelta degli autori è stata quella di trattare con una notevole libertà la realtà storica, preferendo affidare l’immagine a personaggi dipinti anche in modo molto lontano dalla loro realtà storica (come qui nel caso del presidente della comunità ebraica Dante Almansi) o riunendo in un solo personaggio figure nella realtà distinte. Una scelta legittima, nel caso appunto di una fiction, che ci porta a lasciar perdere gli appunti particolari e a discutere le immagini generali offerte dal filmato. Cominciamo dal protagonista, papa Pio XII. L’intento del film è naturalmente quello di rivalutare il ruolo di Pio XII e di offrire anche al grosso pubblico, dopo le puntualizzazioni degli storici, un’immagine positiva di papa Pacelli. Da questo punto di vista il film raccoglie tanto i risultati della storiografia più recente sugli aiuti dati dalla Chiesa agli ebrei durante l’occupazione (come il bel libro di Andrea Riccardi) che quella di parte cattolica sul pontefice e sulla sua leggenda nera. Un film tutto da leggenda rosa, dunque? Non completamente, perché bisogna ammettere che la produzione ha saputo riprendere, sia pur soltanto in un paio di scene, i dubbi sui “silenzi” del papa e sulla mancanza di una condanna decisa del nazismo. La figura del papa vi appare, pur nell’intento apologetico, molto umana, forse più di quello che il processo di beatificazione non vorrebbe. Nell’intento di sollecitare la simpatia, il film mostra un Pio XII pieno di dubbi e di umanità, non un santo. L’immagine di Roma in questo periodo non coglie forse appieno il vuoto di potere della città, in preda agli occupanti e alle bande fasciste, e il ruolo di sostituzione del potere civile che la Chiesa si assume in quei mesi, in cui Pio XII sembra ripercorrere le orme di un Leone I e dei papi del Medioevo. Avrebbe forse giovato anche alla tesi del film sottolineare di più le preoccupazioni del papa per la sorte della città di Roma, che emergono solo alla fine in occasione della fuga dei nazisti da Roma senza combattere, e che sono un’importante chiave di lettura dell’intera vicenda, oltre a rappresentare una vittoria della linea della Chiesa.
Dove invece molto ci sarebbe da dire è sul quadro della Comunità ebraica durante l’occupazione e in particolare nei giorni tra l’episodio dell’oro e la razzia del 16 ottobre: un’immagine di maniera, un po’ dolciastra, in cui non emergono i conflitti e i dilemmi che attanagliarono la dirigenza (ad esempio, la figura di Zolli, il rabbino capo poi convertitosi al cattolicesimo, è stranamente assente). In questo caso, le inesattezze storiche, piccole e grandi, contribuiscono a falsare l’immagine d’insieme che si trasmette, rendendo privo di carattere il mondo degli ebrei romani. Su una questione però ancora vorrei soffermarmi. Nella seconda parte del filmato, l’irruzione nel convento dove si nascondono gli ebrei è fatta dai nazisti. Storicamente, questo è falso. A operare in queste incursioni, la principale delle quali fu quella nella Basilica di San Paolo che portò a numerosi arresti, fu la polizia fascista, agli ordini del questore Caruso. Il ruolo delle SS vi fu assolutamente marginale. Perché questo cambiamento? E’ un bisogno di semplificare e sottolineare ancor più, se ve ne fosse necessità, la malvagità dei nazisti e la loro ostilità alla Chiesa, o è la volontà di lasciar fuori dal quadro la questione del ruolo avuto dai repubblichini dopo il 16 ottobre nella caccia agli ebrei, nel loro arresto e nel loro avvio alla deportazione e alla morte? Non si tratta di una questione marginale, ma di un aspetto essenziale della storia, sia pur romanzata, di Roma sotto l’occupazione.

Anna Foa, storica