Quella parola mai pronunciata poteva forse salvare delle vite

La fiction Sotto il cielo di Roma offre una bella immagine di quanto Pio XII avrebbe potuto dire e fare, ma in realtà non fece. Sono infatti molteplici i fatti, mostrati dal film, che non corrispondono a quanto appurato finora dagli storici. Non risulta né dai documenti pubblicati dalla Santa Sede né dai libri pubblicati, che ci sia mai stato un solo incontro diretto fra Pio XII e il generale tedesco Stahel, mentre secondo il film ve ne furono diversi. Il papa riceveva invece in udienza privata l’ambasciatore tedesco, von Weizsacker, ed era questo il suo tramite con Berlino. Anche la frase che Pio XII avrebbe pronunciato, “Roma e Gerusalemme, due città nelle quali la presenza di Dio è più percepibile”, sembra più adatta ai nostri giorni che al 1943, così come la richiesta dell’ebreo di suonare l’Hatikvah.
Certo, il salvataggio degli ebrei nei monasteri fu reale, anche se avvenne in modo molto più discreto di quanto mostrato nel film, ebbe luogo in modo spontaneo, grazie all’iniziativa dei singoli, mentre non disponiamo, almeno per i primi giorni, di nessuna testimonianza di intervento della Santa Sede e tanto meno del pontefice. Quanto alla bomba di via Rasella del 23 Marzo 1944, la reazione nazista fu così rapida e violenta da non permettere nessun intervento caritatevole, anche se il pontefice inviò padre Pancratius Pfeiffer a parlare con le autorità tedesche. Vera invece l’ansia per Roma, molto più che per gli ebrei.
Il progetto di rapimento del papa, poi, è noto da una sola fonte: la deposizione del generale Wolff, fatta circa trent’anni dopo i fatti descritti e senza nessun documento che appoggi la tesi. Otto Wolff riferì che il 13 settembre egli fu ricevuto da Hitler che gli chiese di occupare la Città del Vaticano, ed eventualmente deportare il papa nel Lichtenstein per evitare che cadesse nelle mani degli Alleati. Nessun altro documento conferma tale testimonianza. Per questo molti storici non credono a questo progetto o perlomeno sostengono che non arrivò mai alla fase esecutiva. Se però fosse vero, esso darebbe luogo ad un’ipotesi del tutto diversa. Potremmo cioè immaginare che si delineasse un enorme baratto: il silenzio papale sulla deportazione degli ebrei del 16 ottobre, in cambio della mancata esecuzione del rapimento. Le minacce naziste contro la Comunità ebraica erano comunque note già con un certo anticipo. Tanto che la Segreteria di stato vaticana registrò il 17 settembre: “Temuti provvedimenti contro gli ebrei in Italia”. Qualche giorno prima, il 9 settembre, il rabbino capo di Roma Eugenio Zolli aveva proposto ai maggiorenti di chiudere il Tempio e gli uffici della Comunità e di distruggere le cartelle fiscali degli ebrei per evitare che i tedeschi potessero ottenere una lista di nomi degli ebrei iscritti. La proposta non fu accettata e Zolli scomparve subito dopo.
Pochi giorni dopo, il 25 settembre, il colonnello delle SS Herbert Kappler ricevette un ordine di Himmler di arrestare tutti gli ebrei e deportarli in Germania “per liquidazione”. Il 26 settembre Dante Almansi e Ugo Foà furono quindi convocati dal colonnello Kappler che richiese entro 36 ore 50 chilogrammi d’oro minacciando, in caso contrario, la deportazione di 200 ebrei. L’oro fu raccolto e consegnato in tempo, senza ricorrere a nessun prestito né del Vaticano né di altri. Meno di una settimana più tardi, il primo ottobre, la Segreteria di stato vaticana prende nota di un progetto di invasione tedesca del Vaticano per “il sequestro di persona del Sommo Pontefice”. Il 4 Ribbentrop telegrafa a von Weizsacker: “Il Governo del Reich rispetterà in pieno la sovranità ed integralità dello Stato del Vaticano e gradirà che la Curia pubblichi un resoconto non ambiguo della situazione”. Era la risposta attesa dal Vaticano. Due giorni dopo, il 6 ottobre, Kappler avviserà il suo capo, il generale Wolff, che Theodor Dannecker era arrivato in Italia per arrestare gli ebrei e deportarli.
Il giorno stesso il console Moelhausen, avuto sentore della questione, telegrafò al ministro degli esteri Ribbentrop e perfino a Hitler scrivendo: “Kappler ha ricevuto l’ordine di arrestare ottomila ebrei residenti a Roma e di procedere al loro trasporto verso l’Italia del nord dove saranno liquidati”. Il console propose di utilizzarli per lavori di fortificazioni. Il messaggio arrivò il giorno stesso anche al presidente Roosevelt.
Il 7 ottobre l’ambasciatore Weizsacker fu ricevuto dal segretario di stato cardinale Maglione il quale gli chiese, secondo i documenti vaticani, che la Città eterna non diventasse un terreno di battaglia, una questione di supremo interesse per la civiltà e la religione.
Due giorni dopo, il 9 Ottobre, Weizsacker fu ricevuto in udienza privata dal Pontefice e gli comunicò a voce e per iscritto, che la Germania “era determinata e rispettare i diritti sovrani e l’integrità” del Vaticano. Chiese inoltre una dichiarazione vaticana che sarà lungamente discussa fra le due parti e pubblicata a fine mese sull’Osservatore romano.
Date le relazioni di amicizia con il pontefice, ed essendo ormai alla vigilia della razzia, è probabile che l’ambasciatore lo abbia informato per sommi capi su quanto stava per avvenire. Weizsacker accennò anche al qui pro quo: riconoscimento tedesco della neutralità vaticana, in cambio del silenzio assoluto del Vaticano sulla razzia degli ebrei? In tutti i casi questi furono i fatti, anche se non sappiamo se ci fosse un accordo formale. Qualche giorno dopo, il 14 Ottobre, Weizsacker si recò nuovamente da Maglione che chiese solo ci fossero “sufficienti forze di polizia per mantenere l’ordine”, ma sugli ebrei nemmeno una parola. Infine il giorno stesso della razzia, il 16 Ottobre, Maglione convocò l’ambasciatore e gli disse: “La Santa Sede non vorrebbe essere messa nella necessità di dire la sua parola di disapprovazione”. Weizsacker rispose chiedendo di essere lasciato libero di non riferire quella conversazione ufficiale a Berlino. Sì, è vero, molti conventi aprirono le porte agli ebrei e De Felice valuta a 4 mila e 447 il numero degli ebrei salvati negli istituti religiosi. Molto probabilmente la destinazione originale di quelli catturati era Mauthausen. Scrive la storica Liliana Picciotto: “Solo più tardi vedendo che non c’era nessuna reazione dal Vaticano, il trasporto con 1020 deportati che lasciò la stazione Tiburtina il 18 Ottobre, fu destinato ad Auschwitz e allo sterminio”. Una parola avrebbe potuto deviare il treno verso Mauthausen con maggiori probabilità di sopravvivere.

Sergio Minerbi, diplomatico