Letteratura – Un romanzo spirituale

Un romanzo intriso di spiritualità ebraica, affresco vivido della terra d’Israele agli albori del ‘900, territorio semidesertico e poverissimo che in quegli anni, con il diffondersi dell’ideale sionista, stava divenendo una speranza (e una possibilità concreta) per gli ebrei di tutto il mondo, in particolare per quelli europei e del bacino mediterraneo.
Appena ieri, romanzo del premio Nobel per la letteratura Shemuel Yosef Agnon, appena pubblicato da Einaudi nella magistrale traduzione di Elena Loewenthal, è la storia di Isacco Kumer, giovane ebreo galiziano che, animato dall’idealismo, fa l’alya, “sale” in terra d’Israele. Una scelta, allora, tutt’altro che facile: settimane di viaggio in treno e nave, per raggiungere una terra lontana, tagliata fuori per secoli dalla modernizzazione europea e dalle rotte dei commerci, che però in quegli anni era in pieno fermento e che, complice le ondate immigratorie, era abitata da “più di settanta” culture ed etnie, in un caleidoscopio di voci, colori, usanze e tradizioni.
Il romanzo inizia più o meno allo scoccare del 1900 per terminare prima dell’inizio della prima guerra mondiale (e dunque anche prima della dichiarazione Balfour). Isacco, arrivato con l’obbiettivo di lavorare la terra ma arrangiatosi a fare l’imbianchino tra Giaffa e Gerusalemme, vive amori, amicizie e peripezie, in una sospensione – binomio paradigmatico della terra d’Israele in quell’epoca – tra tensione spirituale e idealismo sionista-socialista pragmatico e secolare. Due estremi rappresentati – il romanzo è fortemente basato sui simboli – da Giaffa e Gerusalemme, la prima abitata da intellettuali, artisti e scrittori, gente moderna e affrancata da precetti e osservanza, la seconda Città Santa, bellissima e isolata sul monte di Sion, custode per secoli della fede ebraica e luogo sacro anche per gli altri due monoteismi, abitata dagli ebrei più pii e religiosi.
A differenza di altri grandi autori ebrei e/o israeliani del ‘900, Agnon non ha alcun rifiuto per l’aspetto propriamente religioso, quando non proprio mistico, del suo essere ebreo. Anzi, vi è immerso pienamente e felicemente, utilizzando nella sua scrittura citazioni della Torah e del Talmud e rimandi simbolici che permeano la narrazione di una grande forza evocativa, arricchendo di significato e di letture potenziali il viaggio e le peripezie del giovane Isacco Kumer.
Appena ieri è definito da Abraham B. Yehoshua, nella prefazione a questa edizione italiana, il più importante romanzo della letteratura ebraica del ‘900. Un affresco potente, che ha anche il pregio, attraverso le vicende dei singoli, di far assaporare con realismo l’epica fondativa di quello che sarà molti decenni dopo lo Stato ebraico, con la nascita dei primi kibbutzim, la costruzione di Tel Aviv, il difficile dialogo tra ebrei provenienti da molti Paesi diversi e degli ebrei con gli arabi.
Agnon scrive di tutto questo mentre in Europa infuriava la seconda guerra mondiale e una buona parte del popolo ebraico veniva sterminata. Lui, immigrato in Israele come il suo personaggio Isacco dalla Galizia e amico di Martin Buber con il quale lavorò ad alcuni testi sul chassidismo, focalizza la sua attenzione su quanto era nel suo bagaglio e nella sua esperienza personale: la decisione di immigrare lo salvò dalla deportazione, la terra d’Israele rappresentò per lui e per i pionieri come lui la salvezza. Forse è per questo che, a differenza di tanti scrittori ebrei della sua generazione le cui vite furono stravolte dalla Shoah, la sua scrittura è soffusa di un’ironia educata, uno humour sottile e bonario che pervade “Appena ieri”, romanzo epico con il dono della leggerezza.

Marco Di Porto