Qui Torino – Emanuele Artom, ebreo e antifascista Un film ne racconta ora il coraggioso itinerario

“Bisogna scrivere questi fatti, perché fra qualche decennio una nuova retorica patriottarda o pseudoliberale non venga a esaltare le formazioni dei purissimi eroi: siamo quello che siamo: un complesso di individui in parte disinteressati e in buona fede, in parte arrivisti politici, in parte soldati sbandati che temono la deportazione in Germania, in parte spinti dal desiderio di avventura, in parte da quello di rapina. Gli uomini sono uomini”. Senza miti, senza ritualizzazioni, Emanuele Artom racconta la sua esperienza di commissario partigiano di Giustizia e Libertà, di “bandito”, ma ancor più spiega puntuale, lucido, a tratti severo, la realtà italiana dell’epoca. Nel suo Diario troviamo il vivido racconto dell’Italia fascista, dell’Italia in guerra con sé stessa , degli ebrei traditi dal proprio Paese.
A lui, ebreo torinese simbolo della resistenza civile, dell’orgoglio intellettuale che sposa la libertà contro i crimini del fascismo, è dedicato il film “Emanuele Artom, il ragazzo di via Sacchi” del regista Francesco Momberti, presentato giovedì sera al centro sociale della Comunità ebraica di Torino. Davanti a una sala gremita scorrevano le immagini, le parole, i ricordi dei testimoni e degli amici di Artom in una ricostruzione sobriamente celebrativa della storia di un grande personaggio dell’900 italiano. Il lungo e sincero applauso dei presenti, una volta terminata la proiezione, è stata non solo la dimostrazione dell’apprezzamento del grande lavoro di Momberti e dei suoi collaboratori ma anche un affettuoso quanto orgoglioso saluto dell’ebraismo torinese a Emanuele Artom.
“Questo lavoro – ha sottolineato in apertura di serata il presidente della Comunità torinese Tullio Levi – è importante per la nostra realtà quanto e soprattutto per il mondo esterno. Il merito di Momberti è di aver creato un documentario prezioso per le giovani generazioni, che potranno conoscere il profondo impegno di Artom a favore della patria e il modo in cui seppe coniugarlo alle sue radici ebraiche”.
Lo scorrere del Sangone, il verde silenzioso delle montagne piemontesi, le celle delle Carceri Nuove di Torino, sono lo sfondo dei racconti di amici, compagni di scuola e di Resistenza, di chi ne ha studiato la storia e gli insegnamenti. “Il film si apre con l’immagine di una chiave che apre la cella di Artom – spiega il regista Momberti – un modo simbolico per iniziare un racconto che non ha una chiusura: la porta della cella rimane aperta perché la storia di Artom deve continuare, deve essere raccontata ancora e ancora”.
Tre anni di lavoro hanno dato vita ad un documentario che rende omaggio alla persona Emanuele Artom, al suo valore umano quanto politico, un intellettuale combattente con lo sguardo rivolto al futuro. “Attraverso i Diari, attraverso i materiali che abbiamo raccolto, abbiamo cercato di ricostruire la vita di Artom, dando anche un quadro più generale del contesto storico dell’epoca. Per questo abbiamo ad esempio inserito i discorsi di Mussolini e Badoglio, per collegare la Grande Storia alla storia di un uomo. Così come, attraverso l’espediente teatrale e grazie alla collaborazione del Gruppo Teatro Angrogna, abbiamo ricordato la follia e stupidità delle leggi razziali”.
Il film si articola in quattro filoni principali: il rapporto di Artom con la famiglia e l’ebraismo (vissuto ed elaborato negli anni in modo molto personale e critico); l’evoluzione politica e spirituale; il momento della scelta partigiana, quando il giovane Emanuele decide di non scappare o rimanere nascosto ma di andare a combattere in montagna; il percorso da commissario politico.
Senza mitizzare o scadere nell’esasperazione dei sentimenti, il documentario sobriamente presenta la forza d’animo, la volontà di cambiare la società, di combattere per il prossimo di Emanuele Artom. Per comprendere la grandezza dell’uomo, morto per le sevizie subite dai nazifascisti e sepolto sulla riva del Sangone, basta guardare sul video il profondo rispetto con cui i diversi oratori lo ricordano. Da Ugo Sacerdote a Paola De Benedetti, da Giulio Giodano a Silvia Finzi e ancora Massimo Ottolenghi, Bianca Guidetti Serra, Tullio Levi, Sergio Coalova, Felice Burdino, Alberto Cavaglion e Guri Schwartz.
“Siamo molto soddisfatti – afferma il regista – di essere riusciti a ottenere questo risultato. E pensare che inizialmente, nel nostro ambiente, in molti ci avevano sconsigliato di cominciare questa avventura. ‘Non è artisticamente valida’ dicevano ma noi abbiamo perseverato. E una delle cose più emozionanti è stato ricevere un ‘grazie’ da una delle signore presenti nel pubblico del centro sociale della Comunità. Nel nostro lavoro – continua Momberti- spesso il giudizio è o brutto o bello ma capita raramente di essere ringraziati; il grazie penso sia la dimostrazione che abbiamo lavorato nella direzione giusta, rendendo omaggio ad un giovane coraggioso come Artom, un esempio per le future generazioni”.
Unica nota amara, nelle parole di Momberti, il rifiuto ricevuto dal programma della rai la Storia siamo noi di Giovanni Minoli. “Avevamo proposto il film alla direzione del programma – sostiene il regista – ma ci hanno risposto picche. Il motivo? Artom secondo loro non è abbastanza famoso. Come se questo fosse il punto”.

Daniel Reichel