Il dovere di ricordare

In occasione della cerimonia svoltasi al Quirinale per il Giorno della Memoria il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha dichiarato:
Illustre e caro Presidente Napolitano,
illustri autorità, cari testimoni della Shoah, carissimi ragazzi, nel corso dell’anno 2011, appena concluso, nel celebrare i 150 anni dell’Unità del nostro Paese ci siamo ripetutamente impegnati ad approfondire e illustrare quanto sia stato vasto e significativo l’apporto degli ebrei alla creazione dello Stato democratico. Nel realizzare questo percorso di ricerca e di studio è emerso chiaramente che la condizione ebraica negli ultimi due secoli ha subito notevoli variazioni, sia in senso positivo che negativo. Alle speranze del periodo napoleonico seguì la Restaurazione e il ritorno di discriminazioni e segregazioni. All’entusiasmo con il quale le minoranze ebraica e valdese nel 1848 accolsero lo Statuto albertino seguirono le aperte manifestazioni di antisemitismo della fine dell’Ottocento. Alla generosa partecipazione degli ebrei alla prima guerra mondiale, che li vide indossare orgogliosamente la divisa dell’esercito italiano, sia come chiamati alla leva che come volontari, seguì il fascismo che, fin dalla marcia su Roma, si presentò come un regime autoritario e poi degenerò in un sistema dittatoriale negatore dei diritti di libertà e di uguaglianza e, infine, promulgatore di quelle leggi razziste del 1938 che furono il macabro preludio e la tragica premessa alla “soluzione finale”, alla deportazione nei campi di sterminio nazisti. Di fronte al disastro bellico e alla spaccatura del paese, nel 1945, agli occhi di tutti, apparve in tutta la sua evidenza quanto fosse stata inadeguata e fragile la struttura portante dello Stato: da una parte la monarchia che, pur artefice dell’Unità nazionale, si era dimostrata incapace di arginare e contrastare le tendenze autoritarie del fascismo e dall’altra il fascismo stesso il quale, a sua volta, con l’abolizione della democrazia parlamentare e la violazione dei diritti fondamentali, dimostrò di non saper resistere alla tentazione di assicurarsi il controllo dello Stato italiano e di sottomettere altri Stati, altri popoli e altri territori con l’uso della guerra e della violenza.

Se gli ebrei subirono il destino più atroce e tragico, tutta l’Italia pagò un prezzo altissimo, e il danno più grave e duraturo che il fascismo inflisse al paese fu l’inoculazione di un morbo pericoloso e contagioso: il razzismo. Fu un contagio che in pochi anni penetrò in profondità, molto più di quanto anche gli osservatori più attenti avessero ritenuto possibile, tanto che ancora oggi se ne avvertono i sintomi. Anche per questo motivo oggi partecipiamo a questo “Giorno della Memoria”, che è stato istituito con una legge dello Stato, che coinvolge in particolare il mondo della scuola in un vasto programma culturale, sia allo scopo di formare gli insegnanti, sia per fornire loro gli strumenti per creare nei giovani gli anticorpi contro qualsiasi forma di pregiudizio, di discriminazione e di razzismo.

Pochi giorni fa ero ad Auschwitz ad accompagnare il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Francesco Profumo, e centotrenta ragazzi, che in parte ritrovo qui oggi, in un significativo viaggio della memoria. Al termine del viaggio si è deciso di procedere, tra il Ministero dell’Istruzione e l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, alla sottoscrizione di un Protocollo di intesa che prevede molteplici attività finalizzate ad una approfondita conoscenza di quel periodo storico. La firma del Protocollo è avvenuta proprio in questi giorni e sono molto lieto che sia stato possibile dare rapida e concreta realizzazione ad un progetto di formazione dei giovani sulla Memoria della Shoah.

Quest’anno cade il venticinquesimo anniversario della scomparsa di Primo Levi, lo scrittore torinese che con le sue alte testimonianze ha contribuito a descrivere e decifrare la barbarie dei campi di sterminio. I suoi libri sono un patrimonio di tutta l’umanità e una frase riguardante la sua tragica esperienza rimane emblematica: “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”. Nella sua lucidità, Primo Levi si era reso conto che i nazisti, quando compresero di essere stati sconfitti militarmente, politicamente e moralmente, avevano iniziato una nuova e diversa guerra: quella contro il ricordo e contro la Memoria, per tentare di cancellare e di manomettere i segni e le prove dei loro crimini.

Oggi i loro eredi, i veri nuovi nazisti, sono i negazionisti. Essi sono i continuatori di quella feroce distruzione di milioni di esseri umani dei quali tentarono di annientare anche l’identità, mentre erano in vita, sostituendo i loro nomi con dei numeri incisi indelebilmente sulla loro pelle, infliggendo loro dolori e umiliazioni, per poi ucciderli negando anche la sepoltura, riducendo i loro corpi in cenere fino al totale annientamento e occultamento.

Il Giorno della Memoria non è mai stato e non vogliamo che diventi mai una semplice commemorazione dei defunti, nè vogliamo che appaia un evento dedicato esclusivamente alle vittime del popolo ebraico. Ferma restando la specificità della Shoah, che fu il tentativo di realizzare il genocidio perfetto, insuperato e insuperabile sia nella progettazione, che nella tecnica e nella sistematica violazione di qualsiasi diritto, questa deve essere l’occasione di una riflessione condivisa che abbracci anche tutte le altre vittime di quella tragedia: gli oppositori politici, gli omosessuali, i disabili fisici e mentali, le popolazioni rom e sinti. Vogliamo che da questa riflessione si possa trarre un insegnamento e un monito, che non sia rivolto solo al passato, ma che ci porti ad interrogarci ancora oggi, giorno dopo giorno, sulla solidità etica del nostro presente per costruire insieme un futuro di pace e di giustizia. Perché non può esserci pace senza giustizia. Questo è terribilmente necessario perché quel grido di dolore e di speranza, “Mai più”, che fu lanciato dopo l’apertura dei cancelli di Auschwitz e che da quel giorno anche noi abbiamo gridato ripetutamente, non è stato ancora sufficiente. Da allora altre stragi di popolazioni innocenti sono avvenute e stanno ancora avvenendo in tutti i continenti. E nessuno dimostra di essere in grado né di prevenirle né di impedirle. Vorrei concludere con alcune constatazioni che ci inducano a non cedere al pessimismo e alla disperazione e che invece aprano il nostro cuore alla speranza. Nell’Europa occidentale e in Italia, dal 1945 ad oggi, le nostre fortunate generazioni stanno vivendo il più lungo periodo di pace che la storia ricordi. I paesi di questo continente hanno adottato o stanno adottando carte costituzionali democratiche e rispettose dei diritti fondamentali. Alcune frange estreme ancora tentano di far prevalere teorie e comportamenti di tipo razzista, ma le società, in genere, reagiscono in maniera forte e sana. I crimini contro l’umanità commessi dai regimi dittatoriali al potere nel secolo scorso sono portati come esempi di degenerazione politica e morale. La Germania e l’Italia hanno effettuato percorsi di riesame critico delle scelte politiche e dei comportamenti tenuti negli anni Trenta e Quaranta. Noi stessi abbiamo udito i discorsi pronunciati dai massimi rappresentanti della Repubblica Italiana e da Lei personalmente, illustre Presidente Napolitano, in diverse occasioni e in particolare nel corso delle precedenti cerimonie del Giorno della Memoria tenute in questo stesso palazzo e in questa stessa sala. Parole sempre chiare e inequivocabili, e soprattutto istruttive verso i giovani, ogni volta presenti in gran numero. Di questo non vogliamo e non sarebbe giusto solo ringraziarLa, perché abbiamo compreso e sappiamo che questo fa parte della concezione dello Stato democratico che Lei ha sempre sostenuto e tutelato; quindi vorremmo soprattutto manifestarLe la nostra ammirazione per il ruolo altamente educativo che Lei ha voluto assumere. Tutto ciò ci ha fatto e ci fa ancora sperare di essere entrati in una nuova era nella quale non dovranno più prevalere i seminatori dell’odio e gli ideologi della diseguaglianza e del predominio dell’uomo sull’uomo.

Renzo Gattegna, Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane