…odio di sé

Da un po’ di tempo si è preso a usare e ad abusare della formula ‘odio di sé ebraico’. Ogni dissenso, ogni posizione che non sia in linea con una certa specifica ‘corrente di pensiero’ viene definita odio di sé. Ci si chiede: è venuta meno la fantasia? Ed è corretto ricondurre ogni diversa idea a odio di sé dell’ebreo? Cos’è, una messa all’indice di uno a opera dell’altro? O è un modo di distinguere l’ebreo buono dall’ebreo cattivo? E rivolgersi reciprocamente l’accusa è l’unico modo di annullare il senso di questa facile, offensiva e odiosa analisi? A chi giova? A chi accusa forse, per sentirsi giusto fra i giusti e in linea con la giusta lettura dell’ebraismo? O giova all’immagine di libera dialettica che dovrebbe caratterizzare la nostra cultura? Giova alla soluzione di un conflitto? O forse all’immagine che l’ebraismo dà di sé al mondo – argomento cui sembra tanto sensibile chi sta evidenziando questo discrimine retorico/psicologico? Anni fa, a chi giudicava la politica di Israele vivendo nella diaspora si diceva: “Perché non vieni a vivere in Israele e parli da qui?” Ora che molti intellettuali israeliani dissenzienti vengono attaccati violentemente da chi se ne sta seduto in poltrona dalle nostre parti, comincio a condividere il senso della domanda. Forse chi sostiene da qui la necessità di una guerra contro l’Iran lo fa perché vive al sicuro. E se non va in Israele è perché non sopporta certi ebrei di là: è forse anche questo ‘odio di sé’?

Dario Calimani, anglista