Bocconi e Pagine Ebraiche – Istruzione come leva dello sviluppo economico

Università Bocconi e giornale dell’ebraismo italiano assieme per raccontare come l’antica lezione ebraica di investire sull’educazione possa servire come leva dello sviluppo economico. Un libro e un’occasione per riflettere sull’importanza dell’istruzione nello sviluppo dei popoli e delle loro economie, tema quanto mai attuale alla luce della crisi che sembra non conoscere facile soluzione. Il volume è “I pochi eletti. Il ruolo dell’istruzione nella storia degli ebrei, 70-1492” (Egea – Università Bocconi Editore, 2012), di Maristella Botticini, professoressa di economia alla Bocconi, e Zvi Eckstein della Università di Tel Aviv. L’occasione per presentarlo sarà la tavola rotonda “L’istruzione come leva dello sviluppo economico. Spunti dalla storia ebraica”, organizzato dall’Innocenzo Gasparini Institute for Economic Research dell’ateneo milanese, dal giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche, e dalla casa editrice del prestigioso ateneo milanese (a Milano, questo mercoledì 12 dicembre 2012, ore 18, Aula N03 piazza Sraffa 13).
L’opera, traduzione in italiano del libro pubblicato dagli stessi autori con Princeton University Press e in corso di pubblicazione in ebraico con Tel Aviv University Press, spiega come i valori culturali e le norme sociali promossi dall’ebraismo duemila anni fa, più ancora di proibizioni e persecuzioni, abbiano forgiato la storia economica e demografica degli ebrei.
All’incontro, moderato dal giornalista Guido Vitale, coordinatore Informazione e Cultura dell’Unione dele Comunità Ebraiche Italiane e direttore della redazione di Pagine Ebraiche, parteciperanno l’economista Alberto Alesina (Harvard University), l’autrice Maristella Botticini (Università Bocconi), il rabbino Roberto Della Rocca (direttore del dipartimento Educazione e Cultura dell’UCEI) e lo storico Giacomo Todeschini (Università di Trieste).

Di seguito l’anteprima del libro pubblicata sul numero di Pagine Ebraiche di novembre 2012:

Con questa traversata di 1500 anni di storia ebraica ci prefiggiamo di rispondere a una serie di domande. Perché fra gli ebrei vi sono così pochi contadini? Perché gli ebrei costituiscono una popolazione urbana di mercanti, imprenditori, banchieri, finanzieri, giuristi, medici e studiosi? Quando e perché questa struttura occupazionale e residenziale divenne la caratteristica peculiare degli ebrei? Perché la popolazione ebraica, dai 5– 5,5 milioni di persone che contava al tempo di Gesù, scese fino a 1–1,2 milioni al tempo di Maometto? Perché il numero degli ebrei raggiunse il livello più basso (meno di 1 milione) alla vigilia dell’espulsione di massa dalla penisola iberica nel 1492–97? Perché quella del popolo ebraico è stata una delle diaspore più disperse della storia, vissuta per millenni in condizioni di minoranza nelle città e nei centri urbani di tutto il mondo? Quando, come e perché gli ebrei divennero “i pochi eletti”? Quasi tutti sono convinti di conoscere le risposte a queste domande. […]. Un economista argomenterebbe invece che le ricorrenti persecuzioni subite dagli ebrei, al pari di altre minoranze religiose ed etniche, ne ridussero l’incentivo a investire in capitale fisso (ad esempio, la terra). Poiché per lo stesso motivo attribuivano un valore elevato alla possibilità di spostarsi da un luogo all’altro, gli ebrei avrebbero dunque sviluppato una preferenza per l’investimento in capitale umano che, incorporandosi nella persona, è facilmente trasferibile e non è soggetto al rischio di esproprio. […] Analizzati dal punto di vista dell’economista, i dati storici inducono a ritenere che nessuna di queste radicate opinioni sia valida. Noi sosteniamo che la vera spiegazione va ricercata altrove. Come mostriamo nei capitoli seguenti, quelle caratteristiche peculiari del popolo ebraico furono il portato di un profondo mutamento della religione ebraica seguito alla distruzione del secondo tempio nel 70 d.C. Tale mutamento, che investì la leadership religiosa in seno alla comunità ebraica, trasformò il giudaismo da culto basato sui sacrifici rituali eseguiti nel tempio in una religione la cui norma principale prescriveva a ogni ebreo di leggere e studiare la Torah in ebraico e di mandare i figli a scuola o in sinagoga, dall’età di sei o sette anni, affinché anch’essi imparassero a farlo. Durante il periodo talmudico (dal III al VI secolo) l’applicazione di questa nuova norma religiosa, sommata allo sviluppo di istituzioni che garantivano l’applicazione dei contratti, determinò tre tratti distintivi della storia ebraica. La crescita e la diffusione dell’alfabetizzazione e dell’istruzione fra la popolazione ebraica prevalentemente rurale, nonché un lento ma significativo processo di conversione ad altre religioni, che determinò un notevole calo della popolazione ebraica durante la prima metà del primo millennio; l’acquisizione di un vantaggio comparato nelle attività urbane specializzate (ad esempio, l’artigianato, il commercio e il prestito di denaro), che gli ebrei istruiti scelsero di intraprendere quando l’urbanizzazione e lo sviluppo di un’economia mercantile fornirono loro l’opportunità di ricavare benefici pecuniari dal loro investimento nell’alfabetizzazione e nell’istruzione; la diaspora volontaria degli ebrei, che migravano alla ricerca di opportunità nei mestieri artigianali, nel commercio al dettaglio o a lunga distanza, nel prestito feneratizio, nelle attività bancarie e finanziarie, e nella professione medica.