Israele – Una società in abiti civili
Come tutti sanno, l’altro giorno la popolazione israeliana si è recata alle urne e ha eletto la sua diciannovesima Knesset. I risultati delle elezioni sono stati analizzati, ricucinati e tritati da tutti i mezzi di stampa e di comunicazione. Ma un fenomeno sociologico e politico del tutto originale e interessante non è stato finora toccato. Questo fenomeno potrebbe essere definito un progressivo “incivilimento” (o forse “civilizzazione”) di Israele, non nel senso di un paese più progredito, ma in accezione militare. Vale a dire, il passaggio da una società più o meno militarizzata verso una società invece dalla mentalità più borghese, più civile. Difatti, se si nota, la classe dirigente negli anni passati era composta da una grande percentuale di alti ufficiali, e così anche molti capi del governo erano stati in passato generali dell’esercito. Tanto per farne i nomi più famosi: Rabin, Sharon, Ehud Barak. Per di più era usanza diffusa che gli ufficiali, toltasi la divisa, passassero alla politica, o almeno a dirigere importanti istituzioni pubbliche. Non per niente, i problemi e le questioni all’ordine del giorno e dibattute dall’opinione pubblica erano soprattutto di carattere bellico: i rapporti con gli arabi, con i palestinesi, la difesa della popolazione, e così via. In queste ultime elezioni invece, i temi centrali sul tavolo erano questioni socio-economiche: i salari, i prezzi delle abitazioni, la disoccupazione. La campagna elettorale sviluppata da Shelly Yachimovich è stata per l’appunto una delle diverse espressioni di questo fenomeno sociale, che è ovviamente molto più profondo. Un’altra sua manifestazione è l’elezione alla Knesset di diversi personaggi pubblici civili: è conosciuto il caso dei giornalisti passati alla politica, ma ancora più interessante invece è quello dei docenti universitari passati all’attività pubblica ed eletti in Parlamento. Il caso di accademici divenuti politici è molto diffuso sia in Europa che in America: Aldo Moro, Amintore Fanfani e Henry Kissinger, erano tutti professori universitari, solo per fare alcuni nomi.
Questo fenomeno è sintomo di un “imborghesimento” della società israeliana. I problemi che assillano la popolazione non trattano più la sopravvivenza fisica, e neanche la questione palestinese passata in secondo piano, ma i temi socio-economici riguardanti la qualità della vita. Un’altra conseguenza è anche lo smussamento delle contrapposizioni ideologiche, ad esempio la rivalità fra i laici (o hillonim) e gli ultra-religiosi (o haredim), al fine di ricercare un maggiore compromesso. Questo processo sociologico assai significativo sarà sicuramente molto lungo, ed è per adesso solo all’inizio, ma senza dubbio rende la società israeliana un pochino più tranquilla, più serena, più “normale”.
Andrea Yaakov Lattes, Università Bar Ilan
(25 gennaio 2013)