Lettera aperta all’ambasciatore
Signor ambasciatore d’Israele,
è da molto tempo che avrei voluto scriverle questa lettera, ma al momento di farlo, non so per quale
ragione, mi sono sempre detto ‘mah, vedremo, forse lo farò più avanti’. Bene, quell ‘avanti’ è arrivato.
I recenti fatti avvenuti in Israele (Gaza, i missili, l’Onu, le reazioni di Netanyahu, costruzione di nuovi insediamenti), peraltro già successi in passato, anche se con minor risonanza di questa volta, sono quelli che mi hanno dato la spinta finale. In realtà, più che a lei, questa lettera dovrebbe essere indirizzata al governo di Israele, sia a quello presente che a quelli passati: in molti casi infatti certe decisioni ed atteggiamenti hanno avuto al di fuori di Israele conseguenze ed impatto simili; voglio sperare che lei si faccia parte attiva nel trasmettere questi punti a chi governa Israele.
Prima però di passare al contenuto vero e proprio di questa lettera, devo premettere un concetto
che immagino le sia ben noto: si tratta della confusione capziosa e ipocrita, dettata in primis dall’ignoranza ma subito dopo dalla malafede di molta gente, di molti organismi governativi e pseudo tali, e di una certa parte politica un tempo a noi amica; mi riferisco alla confusione fra ebrei, Israele e il suo governo, confusione che altro non è se non l’espressione di una ben diffusa e ormai, ahimé, consolidata disequazione antisionismo diverso da antisemitismo. Non credo le sfugga quanto la tanto sbandierata e sottolineata differenza fra queste due categorie altro non sia se non un clamoroso falsoideologico perpetrato in malafede.
Nessuno infatti, fatte le dovute eccezioni (Ahmadinejad e compagni) si dichiara apertamente antisemita, per carità, ci mancherebbe! Ma molti invece usano il comodo e vantaggioso paravento, inoppugnabile sotto il punto di vista della logica del discorso, di poter dichiararsi contrari alla politica di Israele, della condotta del suo governo, invocando il diritto di poterne criticare le decisioni senza con questo significare di volere essere contro agli ebrei in quanto tali, senza appunto significare di essere antisemiti. È una bufala colossale, almeno nella maggior parte dei casi, specialmente quando questi casi riguardano i politici italiani, così avvezzi sin dai tempi remoti, a dire senza dire, a tenere i piedi in due staffe, ad utilizzare quell’altra espressione di falsità assoluta che è il politically correct, che sembra essere stato inventato apposta per venire in soccorso a chi nasconde la mano, ma al
tempo stesso lancia il sasso. Detto questo, sottolineato quanto falsa e malvagia sia la disequazione di cui sopra, e dato per scontato che gli ebrei (veri) sostengono e sosterranno sempre Israele inqualunque situazione (right or wrong, my Country diceva Churchill, e ciò va benissimo anche per noi) pur potendo dissentire (in buona fede) dalla politica del suo governo, vengo ora al punto centrale di questa lettera.
I governi di Israele, compreso quello presente, hanno sempre preso le loro decisioni avendo a cuore
esclusivamente Israele, la sua sicurezza, la sua popolazione locale, e questo è senz’altro giusto (ci
mancherebbe che facesse l’opposto); o almeno questo è ciò che in pratica appare.
Ma mi consenta, signor ambasciatore, di sottolineare questo aggettivo “locale”: non tutto il popolo di Israele vive in Eretz, anzi, forse la parte maggiore vive al di fuori di esso, e se pur non è esposta
fisicamente agli stessi pericoli, alle stesse situazioni geografiche, geopolitiche, tuttavia questa parte del popolo d’Israele partecipa e condivide seppur in maniera diversa i destini dei residenti.
Questa parte del popolo d’Israele, che peraltro costituisce anche una non piccola fonte di sostegno economico all’altra parte, viene tenuta in diversa considerazione quando si vanno ad analizzare le conseguenze che la politiche dei governi di Israele ha al di fuori dei confini di Eretz.
Mi spiego meglio e con parole più semplici: le decisioni dei governi di Israele non paiono, e i
risultati ahimé lo confermano, tenere conto dell’impatto che esse hanno sugli ebrei della diaspora; in questo momento io mi riferisco alla diaspora italiana, ma credo di poter dire che ciò vale anche per gli altri. Mi si risponderà (ed è stato risposto): eh, ma dovete viverci voi laggiù prima di commentare e criticare quanto i governi fanno; ci dovete stare voi sotto i missili e sotto gli attentati dei palestinesi
& C.! Poi avrete il diritto di criticare e commentare! Sacrosanto.
Ma a queste parole si potrebbe rispondere con altre perfettamente simmetriche: dovete starci voi a subire le conseguenze che certi atteggiamenti dei governi d’Israele hanno sugli ebrei in Italia!
Certo, ancora i missili non ce li hanno tirati, ma l’antisemitismo è tornato drammaticamente a crescere e gli episodi fisici non mancano. E l’antisemitismo nel secolo scorso è nato proprio hic et sic, qui e così, e quello che ha prodotto è ben noto. Ritorniamo un attimo, signor ambasciatore, alla questione antisionismo e antisemitismo: la falsa e comoda maschera dell’antisionismo sta scivolando via, per lasciare il posto invece
al palese e sinora nascosto antisemitismo. La politica, i politici, la stampa, le altre fonti di informazione, la gente, si trincera sempre più dietro a questo ormai screditato equivoco,
talvolta poi nemmeno più tanto, e gli eventi di attentati, profanazioni di cimiteri, croci uncinate, tifo razzista dentro e fuori gli stadi, minacce, lettere anonime ed altre delizie del genere ormai sono realtà pluriquotidiane. Queste entità, politica, stampa, etc. oramai fanno degli ebrei un solo mucchio: per estensione, tutti gli ebrei, in Israele e fuori, sono ugualmente colpevoli e correi del governo di Israele, e devono pagarne le spese. Ed è appunto questo che sta uccedendo, signor ambasciatore: gli ebrei della diaspora pagano le spese di quello che il governo di Israele fa per proteggere gli ebrei di Eretz.
Ho una domanda per lei, signor ambasciatore, che penso ovrà girare al governo d’Israele e che costituisce l’essenza di questa ettera: ma detti governi, tengono in dovuta considerazione gli impatti
che la politica che essi decidono di perseguire ha sugli ebrei della Diaspora? Lo sanno, i governi di
Israele, che ogni giorno vi sono nuovi e sempre più frequenti episodi di antisemitismo? Ma vogliamo ornare alle Notti dei Cristalli e quel che segue? In Israele c’è (Baruch ha-Shem) Tszahal che lo difende, ma noi? Chi pensa a noi? E non siamo né pochi né poco importanti.
Ci pensi, signor ambasciatore.
E allora cosa fare? Come difenderci? Che argomentazioni portare a supporto di Israele da un lato, e a quello di scindere a capziosa e olosa equivalenza “ebrei (tutti) = governo di Israele” con tutto ciò che ne segue?
A suo tempo Goebbels, ministro della propaganda nazista, purtroppo persona assai intelligente, diceva: “Calunnia, calunnia, qualcosa poi resta”. I palestinesi & C. questo concetto lo hanno bene assimilato, e di propaganda a sfavore di Israele ne fanno tanta e purtroppo con efficacia.
Non le sto a menzionare, fotografie di bambini, piagnistei di donne, e cose del genere che
inondano i nostri mezzi di informazione, giornali e TV in testa; immagino che le vedrà e sentirà anche lei. Ma noi, non siamo capaci di fare altrettanto ? Non siamo capaci di dire che in Israele si curano i palestinesi, che le popolazioni vengono avvertite per telefono (sì, per telefono) di
allontanarsi da certi luoghi che possono venire bombardati, che la gente di Israele vive da anni sotto uno stress insopportabile per le migliaia, sì, migliaia di missili che vengono sparati, che si va a letto vestiti, e tutte queste cose? Non siamo capaci di contrapporre alle “missioni di pace” che dovrebbero portare viveri, medicinali, coperte, etc. a Gaza che si dice affamata, le immagini e le info circa quante armi invece riescono a passare tra Gaza e l’Egitto? E se ci passassero invece i viveri? Eh no, quelli no!
Siamo sempre stati portati ad esempio quale popolo di bravissimi e scafati mercanti: e dov’è allora la nostra capacità di fare marketing di informazione? Perché il governo di Israele non invita torme di giornalisti come fanno i palestinesi & C. (che poi gli preparano gli scenari ‘giusti’) a vedere come stanno le cose? Perché non manda servizi ai giornali ed alle televisioni del mondo per far vedere come stanno realmente le cose? Perché non utilizziamo i punti deboli dei palestinesi & C., stavolta più C. che palestinesi (mi riferisco a Siria, Libia, etc), tipo i comportamenti verso le donne, i non musulmani, gli omosessuali, i bombardamenti, i gas tossici e tutto quanto di nefando essi fanno, per minare la loro credibilità? Forse certa stampa e certe TV li starebbero meno a sentire e meno danno ne risulterebbe per noi; anche nel marketing la pubblicità negativa verso la concorrenza (laddove consentita) porta automaticamente vantaggi per chi la usa. E siamo ancora qui?
Certo, il mettersi allo stesso livello dei palestinesi nel fare “propaganda negativa” rientra poco nel nostro stile, ma, come si dice ? ‘A la guerre comme à la guerre’.
E da ultimo, perché lei, signor ambasciatore, non chiede e va in televisione a spiegare e documentare le ragioni di Israele? Quanta gente, forse, se adeguatamente informata, si farebbe di Israele una diversa opinione! Bene, mi pare di averle detto più o meno tutto quello che volevo dirle, più o meno bene; ma immagino abbia compreso il senso di tutto ciò. Non c’è e non serve solo Tzahal per difendere
Israele, dentro e fuori.
Un cordiale shalom.
Marco Ascoli Marchetti
(29 gennaio 2013)
p.s: Questi punti, signor ambasciatore, sono condivisi da molte persone.