Israele…
Mentre Moshè è salito sul monte e si indugia per ricevere da D.o la Torah con le sue spiegazioni, il popolo si smarrisce, perde per un attimo la fiducia in se stesso e nel suo condottiero e reclama da Aharòn la costruzione di un idolo. L’idea dell’idolo non vuole essere, nell’intenzione dei suoi costruttori, una negazione della sovranità di Ha-Qadòsh Barùkh Hu’, ma vorrebbe rappresentare soltanto, in modo concreto, la presenza di una forza che sia di guida a Israele. È un incredibile pervertimento di una gente che non era giunta alla maturità spirituale necessaria per sentire D.o come spirito totalmente immateriale. Può sembrare strano, ma la tendenza a non rendersi realmente conto di che cosa significhi Uno ha continuato in altre occasioni ed in altre forme a manifestarsi in Israele. A noi l’idea di costruire un vitello d’oro appare una crassa materializzazione, offensiva dell’idea purissima di monoteismo assoluto; ma in realtà dobbiamo far rientrare questa colpa nel quadro generale delle molte inadempienze alla Torà di Ha-Qadòsh Barùkh Hu’. Quante altre volte Israele è stato carente, quante altre volte l’insegnamento divino e la Sua Legge non sono stati messi in pratica! Sia che si parli della violazione del divieto di adorare immagini, sia che si parli dell’offesa ad altri fondamentali doveri della Torah, si tratta sempre d’incrinare l’idea unitaria. E quante volte non cediamo noi stessi ai nostri istinti e alle nostre debolezze, quante volte, forse senza volerlo, ci costruiamo i nostri idoli d’oro e d’argento ai quali c’inchiniamo, quante volte siamo schiavi delle nostre passioni e delle nostre false figurazioni! Quante volte spezziamo quest’unità e, per ciò che riteniamo essere il nostro bene, con la nostra indifferenza mandiamo in malora istituzioni ebraiche consolidate che potrebbero vivere e farci sopravvivere, causando così l’approssimarsi della morte delle nostre Kehillòth! Moshè poté guarire il popolo da quella colpa frantumando il vitello d’oro e dandolo da bere al popolo; ma il nostro vitello d’oro è più pericoloso, perché già impalpabile ed incorporeo, e troppo spesso i richiami di noi Rabbini risuonano nel deserto dei Battè Ha-Kenéseth e nell’invisibilità di pagine che troppo pochi –e spesso già più vicini– leggono. Pure, convinti della giustezza della nostra causa, continuiamo a battere questo tasto, nella speranza che almeno qualcuno si senta spinto dalle nostre parole a restaurare la sua unità col Kehàl Israèl e con Ha-Qadòsh Barùkh Hu’.
Elia Richetti, presidente dell’Assemblea rabbinica italiana
(28 febbraio 2013)