L’idea impossibile del blocco monolitico

A leggere i commenti di alcuni opinionisti su questa rubrica pare quasi che il rapporto che intercorre tra il rabbinato italiano e quello israeliano sia simile a quello che c’è tra la Grecia e l’Europa. Un ente commissariato o sotto tutela, a cui di fatto è impedito di prendere decisioni in assoluta libertà. Siamo insomma sull’orlo del default perché Rav Amar (o chi per lui) ha semplicemente riconosciuto che la sua libertà è importante quanto la nostra. Cioè, che lui è il Capo Rabbino d’Israele (sefardita) e come tale decide su ciò che avviene nel proprio paese. Sì, perché ciò che è avvenuto non è un divieto ad esercitare nei confronti di alcuni rabbini né tantomeno una scomunica, quanto l’idea che alcuni atti, specialmente in casi delicati e complessi come le conversioni, debbano rispondere ad adeguati standard accettati da Israele se si pretende che da Israele vengano riconosciuti. Insomma nessuno scandalo, quanto una necessità di avere parametri condivisi non solo con l’Italia, bensì con tutti i paesi dove ci sono ebrei al mondo. Per questo penso che l’ingerenza non ci sia, ma che anche nel caso un’interdipendenza ci fosse non ci sarebbe nulla di cui preoccuparsi. Immaginare un ebraismo italiano come un blocco monolitico, indipendente dal resto del mondo ebraico e da Israele, non è né lungimirante, né tantomeno intelligente. Una situazione così complessa può invece diventare un’opportunità per l’ebraismo italiano di ripensare se stesso. Si riparta dalle parole di Rav Amar per riflettere sul nostro operato; consapevoli che una riflessione sul nostro stato non indebolirà certo le nostre Comunità, ma al massimo le renderà più forti.

Daniel Funaro

(7 marzo 2013)