Israele, visioni di futuro
Nel 2012 abbiamo avuto un’ulteriore impennata del fenomeno dell’alyah dall’Italia. Solo dalla comunità di Roma sono partite circa 150 persone. E il numero previsto per il 2013 è in aumento. Una prima analisi ha attribuito la “colpa” di questo fenomeno alla crisi economica che sta attanagliando l’Italia e l’Europa tutta. Ho potuto parlare e confrontarmi con alcune persone che hanno preso questa importante decisione e le mie impressioni sono state diverse, sicuramente più confortanti. Iniziamo col dire che la tipologia più frequente è composta da famiglie con papà e mamma di 30-45 anni e figli piccoli. Certo la situazione economica è un fattore, ma non è quello fondamentale. La molla principale è la mancanza di visione del futuro per sé ma soprattutto per i propri figli. Badate bene, non si tratta di futuro economico, ma di qualità della vita, di ideali ebraici e non, di rispetto e di sicurezza. Sono molle dalla forte spinta perché non stiamo parlando di ragazzi di 18-20 anni appena diplomati che decidono di andare a studiare o lavorare all’estero ma di padri e madri che magari non parlano nemmeno l’ebraico. Questi ostacoli non li bloccano perché l’Italia di oggi è vista come ingessata, ferma nella sua decadenza inesorabile come lo era l’impero romano prima della discesa dei barbari. Israele invece trasmette un fortissimo senso di adattabilità alla mutevolezza delle situazioni. Basti pensare a come ha reagito la popolazione civile di Tel Aviv durante gli ultimi lanci missilistici. Cinque minuti dopo la sirena, le strade si riempivano di nuovo di gente che riaffermava la propria volontà di non essere ostaggio di cose o eventi che avrebbero potuto bloccare la loro libertà. Mentre 40-50 anni fa Israele era un paese di frontiera con i kibbutzim dove poter tornare alle origini agricole, oggi è più vicina all’Italia grazie a voli quotidiani anche (purtroppo non sempre) low cost, ma rimane sempre un paese di frontiera. Frontiera della ricerca, del futuro, dello sfruttamento delle capacità umane anziché quelle del territorio.
Credo che questa alyah dimostri che nelle nostre Comunità abbiamo ancora molta vitalità, voglia di cambiare e migliorare il mondo che ci circonda. E se questa cosa non è più possibile in Europa allora si va in Israele, dove things happen. La Giunta dell’UCEI conta per la prima volta tra i suoi elementi un assessorato all’Alyah. Per dare supporto e aiuto a chi decide di trasferirsi in Israele, ma non solo. Per creare un forte rapporto di collaborazione e comunicazione bidirezionale. Per considerare Israele semplicemente un’altra stanza della nostra casa.
Raffaele Sassun, assessore UCEI all’Alyah e ai rapporti con Israele
(Pagine Ebraiche aprile 2013)