Israele – Le donne del Muro
Grande l’attenzione ricevuta in Israele in questi giorni dal dibattito relativo alle rivendicazioni e alle vicende del movimento Women of the Wall e alla proposta di Natan Sharasky, dissidente sovietico già parlamentare e ministro, oggi alla guida dell’Agenzia ebraica e voce di primo piano del confronto pubblico, di istituire una “sezione egalitaria” al Kotel accanto a quelle dedicate alla preghiera di uomini e donne.
Grande l’attenzione ricevuta in Israele in questi giorni dal dibattito relativo alle rivendicazioni e alle vicende del movimento Women of the Wall e alla proposta di Natan Sharasky, dissidente sovietico già parlamentare e ministro, oggi alla guida dell’Agenzia ebraica e voce di primo piano del confronto pubblico, di istituire una “sezione egalitaria” al Kotel accanto a quelle dedicate alla preghiera di uomini e donne. Un’idea che ha trovato l’appoggio del rabbino responsabile del Kotel Shmuel Rabinowitz e che il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato di stare studiando.
Del tema si occupa anche il docente Paolo Sciunnach in un intervento sul numero di Pagine Ebraiche di aprile attualmente in distribuzione.
Recentemente si è ripetuto un episodio che si verifica da qualche tempo presso il Kotel hamaravì (Muro occidentale) a Gerusalemme: una donna ha tentato di pregare davanti al muro vestita con il tallit e la kippah. La donna è stata subito arrestata dalla polizia per aver avuto un comportamento poco rispettoso verso la sensibilità religiosa del luogo. Una mattina, come forma di protesta, un gruppo di donne, appartenenti al movimento Women of the Wall, ha manifestato con un Sefer Torah in mano. Il problema è complesso: si tratta di stabilire in che modo debba essere considerato il Kotel come luogo di culto. Effettivamente il muro del pianto è il luogo di preghiera più importante per tutti gli ebrei. Fede, cultura e storia si ritrovano tutte nel Muro occidentale, in quella mescolanza che rende la terra d’Israele così unica. Visitatori di ogni tipo (religiosi e laici) avvertono, in questo luogo, un legame speciale. Il muro del pianto, almeno finora, è stato sempre considerato un luogo di culto ortodosso. Pertanto le regole ivi vigenti sono le stesse che si ritrovano in un Beth haKnesset ortodosso, nel quale, appunto, sarebbe difficile immaginarvi la partecipazione alla preghiera da parte di gruppi ebraici non ortodossi. Forse, il posto più sacro del mondo ebraico dovrebbe rimanere rappresentativo proprio di quella spiritualità tipica del l’ebraismo ortodosso, considerato da sempre la forma di ebraismo storicamente più autentica. Non furono infatti gli ebrei “ortodossi” che introdussero la parola “ortodossia” nei dibattiti religiosi del XIX secolo. Furono invece proprio gli ebrei “progressivi” che per primi coniarono questo termine per indicare in maniera derogativa i “vecchi”, “retrogradi” ebrei. L’ebraismo ortodosso non conosce alcuna varietà di ebraismo. Concepisce l’ebraismo come uno e inscindibile. Non conosce un ebraismo mosaico, profetico o rabbinico, né uno ortodosso o liberale. Conosce solo l’ebraismo e il non ebraismo. Non conosce ebrei ortodossi o liberali. Conosce invece ebrei osservanti (“religiosi”) e non osservanti (“laici”); tutti comunque con una missione che non possono evitare. Possono solo esser distinti a seconda del fatto che compiano o rifiutino tale missione: studio della Torah e osservanza delle mitzvoth all’interno del sistema interpretativo proprio del Talmud. Una soluzione possibile potrebbe essere quella di ridefinire gli spazi difronte al muro, cercando di assegnare a ogni sensibilità religiosa uno spazio di preghiera specifico. Una sorta di anticipazione di quello che sarà il terzo Tempio, nell’Era messianica: “Perché la mia casa sarà chiamata una casa di preghiera per tutti i popoli” (Isaia 56,7). Tuttavia, anche questo genere di soluzione appare oggi ancora poco praticabile. I tempi non sono maturi e non c’è sufficiente sensibilità verso l’altro da sé. Troppo poco pathos spirituale. Forse, ancora oggi, l’unica soluzione praticabile rimane proprio lo status quo.
Paolo Sciunnach, insegnante, Pagine Ebraiche, aprile 2013
(11 aprile 2013)