Israele – Rabbinato, corsa al cambiamento
Mai come quest’anno, complice l’intreccio con le elezioni politiche, che hanno tra l’altro lasciato i partiti haredim fuori dal governo, il rinnovo dei decennali incarichi di rabbino capo ashkenazita e sefardita sembra essere stato sotto i riflettori. Il Rabbinato centrale sovrintende a kasherut, conversioni, matrimoni (tenendo presente che in Israele non esistono le nozze civili), dunque il suo impatto sulla popolazione non è da prendere alla leggera: a provarlo nel 2010, le 9 mila 600 coppie su 36 mila che hanno scelto di sposarsi civilmente all’estero per evitarlo. Un dato forte, come ha denunciato rav David Stav, il candidato più accreditato al posto di rabbino capo ashkenazita, attualmente ricoperto da rav Yona Metzger. I dettagli del processo di selezione sono contenuti nella Chief Rabbinate of Israel Law, promulgata nel 1980. Responsabile della designazione è un’assemblea elettorale di 150 membri, di cui 80 rabbanim, che includono rabbini capo di città e prescelti dal ministro per gli Affari Religiosi, nonché i dayanim (titolo rabbinico superiore che abilita alla funzione di giudice) più anziani del Paese, e 70 rappresentanti del pubblico, tra cui spiccano i sindaci delle 25 principali città, due ministri scelti dal governo, cinque deputati eletti dalla Knesset, dieci cittadini selezionati dal ministro degli Affari religiosi. Sulla composizione dell’organo si è scatenata in queste settimane una battaglia politica volta a garantire una maggiore democratizzazione, e soprattutto una maggiore partecipazione delle donne. Così, tra le prime proposte presentate dalla nuova Knesset, vi è stato un progetto di riforma per assicurare una presenza femminile pari almeno a un quarto dei grandi elettori, aumentandone il numero fino a un totale di 200, che ha ottenuto l’appoggio di esponenti di Yesh Atid, Habayit Hayehudi, Hatnua e Labor. In gioco è il riequilibrio dell’influenza dell’ebraismo haredi nelle istituzioni fondamentali della società israeliana a favore delle correnti nazional-religiose e modern orthodox, un tema che ha tra l’altro cementato l’alleanza tra Yesh Atid, nato come partito laico, che è stato però capace di porsi in maniera piuttosto trasversale rispetto ai temi legati alla religione, e Habayit Hayehudi, di dichiarata ispirazione nazional-religiosa, durante i negoziati di coalizione con Netanyahu. Tuttavia, anche ridurre la nomina delle nuove guide spirituali dell’ebraismo israeliano a meri interessi politici sarebbe sbagliato. Alla base del dibattito è la battaglia per riportare vicino alle esigenze della gente un istituto che viene guardato con crescente ostilità da una larga parte dei cittadini israeliani, a causa delle forti rigidità burocratiche al suo interno ma anche della scarsa empatia, quando non scorrettezza, mostrata da molti suoi funzionari nel rapporto con il pubblico. Il candidato che meglio sembra incarnare le qualità del cambiamento, e che ha già ricevuto l’endorsement di Yesh Atid, Hatnua e Yisrael Beytenu di Avigdor Lieberman, è proprio rav Stav. Proveniente da una rinomata dinastia chassidica, 53 anni, un’esperienza come rabbino capo della cittadina di Shoan, rav Stav ha fondato nel 1996 l’organizzazione modern orthodox Zohar, proponendo un modello di rabbinato alternativo, rigido nel rispetto dell’ortodossia, ma che faccia dell’accoglienza il suo principio di riferimento, tanto nelle questioni del diritto di famiglia, quanto in quelle legate alle conversioni, tra le priorità indicate da rav Stav nelle numerose interviste rilasciate. A contendergli la nomina, i rabbini Yaakov Shapira, David Lau ed Eliezer Igra. Diverse, ma altrettanto complesse le vicende che riguardano il Rabbinato sefardita. Una riforma per permettere all’attuale rabbino capo Shlomo Amar di servire per un secondo mandato era in discussione alla Knesset prima del suo scioglimento anticipato. L’esclusione dal governo dello Shas (di cui il Rabbinato centrale sefardita ha rappresentato finora un bastione), sembrava aver messo l’ipotesi fuori gioco. Ma poi la volontà del leader di Habayit Hayehudi Naftali Bennett di tentare almeno in parte di ricucire lo strappo con il mondo haredi e la generale sensazione che, per assicurare la nomina di un riformatore come Stav al Rabbinato ashkenazita, sarà necessario un compromesso di continuità su quello sefardita, l’hanno riportata in auge. Una proposta che ha ricevuto il supporto del presidente Shimon Peres: “Mi piacerebbe che lei avesse il privilegio, che tutti noi avessimo il privilegio, di averla come rabbino capo ancora per molti anni” ha dichiarato incontrando rav Amar. E voci suggeriscono che qualcun altro potrebbe approfittare dell’emendamento: Yisrael Meir Lau, rabbino capo ashkenazita tra il 1993 e il 2003.
Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked
Pagine Ebraiche, maggio 2013
(1 maggio 2013)