Theodor Herzl, utopia e giornalismo

“Theodor Herzl era fondamentalmente un uomo buono. Alla base della sua utopia vi era una benevolenza verso l’umanità. La sofferenza è una lama sottile che affila lo spirito”, così conclude Roberta Ascarelli, Professore di Lingua e Letteratura tedesca presso l’Università di Siena. La cornice è la deliziosa Villa Sciarra, loco ameno dei monteverdini e sede dell’Istituto Italiano di Studi Germanici, nella quale ieri si è tenuto un incontro che ha visto due grandi protagonisti fatti di carta ed inchiostro: Vecchia Terra Nuova (edito da Bibliotheca Aretina), tradotto e curato da Roberta Ascarelli e Feuilletons (edito da Archinto), tradotto e curato dal germanista Giuseppe Farese ed al centro del dibattito anche dell’incontro organizzato al Salone del Libro di Torino da Pagine Ebraiche. Cosa unisce un romanzo utopico a una raccolta di articoli? Lo stesso autore, Theodor Herzl, il giovane sognatore del Sionismo. Ad animare la discussione tre relatori d’eccezione: Rav Riccardo Di Segni, Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Roma, Susanna Nirenstein, giornalista de la Repubblica e Pierluigi Pellini, Professore dell’Università di Studi di Siena. Myriam Silvera, Coordinatore del Diploma universitario in Cultura ebraica, collega l’utopia di un paese perfetto raccontato da Vecchia Terra Nuova, al messianesimo che, con la sua specificità, unisce lo spirito utopico alla corrente restaurativa. Un progetto per il futuro che ha come base il passato, questo ciò che permette la nascita di Israele. “Il libro Vecchia Terra Nuova in ebraico è stato titolato Collina della primavera. Tel Aviv prende il suo nome proprio dal libro”. Rav Di Segni mette invece in luce il vivido ritratto dell’uomo Herzl, progenitore di una famiglia sciagurata, positivista saldamente legato alla sua formazione occidentale, non religioso ma con un fortissimo senso del sacro. “Il progetto di Herzl riesce, dove quello di un nostro connazionale, Benedetto Musolino, cade inascoltato”. Rivela poi importanti legami con il titolo originale: “In tedesco si chiama Altneuland e richiama il nome dell’antichissima sinagoga di Praga. Un gioco di parole che significa ‘a condizione’, la sinagoga infatti è costruita a condizione e può correre il rischio di smettere di funzionare. ‘A condizione’, la transitorietà, è un elemento tipico della storia ebraica e del legame con Israele”. Susanna Nirenstein si mostra entusiasta del libro curato dalla Ascarelli: “Se dovessi scegliere un aggettivo, direi che è stupefacente”. Vecchia Terra Nuova narra di un giovane colto e disperato che salpa verso nuovi lidi, lasciandosi alle spalle la vecchia Europa. Approderà in Palestina dove cooperano pacificamente ebrei ed arabi e la tecnica riesce a far funzionare l’ingranaggio alla perfezione. Una terra con impianti di irrigazione moderni, terre fertili e giovani ambiziosi, “Non molto diversa dalla Israele di adesso. Herzl è stato profetico”. Il Professor Pellini si dedica invece alla trattazione di Feuilletons, raccolta di articoli del giornalista Herzl. “Herzl riesce ad amalgamare positvismo e pessimismo. Profondamente amareggiato dalla condizione degli ebrei in Europa racconta ad esempio di quando su un treno una bellissima principessa conosce un affascinante quarantenne ed insiste per saper il suo nome. Una volta constatata la sua origine ebraica, lo snobberà senza troppi convenevoli”. Così la Bella Epoque si increspa nella malinconia di un ebreo ambizioso. Roberta Ascarelli insiste poi su un punto fondamentale: “Per far nascere Israele il popolo ebraico ha dovuto recuperare la sua storia, il suo ‘mito’, quello dell’esodo. Un mito preso in prestito anche dall’indipendenza italiana e quella polacca”. Emblematica allora in Vecchia Terra Nuova, la scena del seder, dove tutti seduti attorno al tavolo ascoltano nuovamente il ‘mito’ fondante.

Rachel Silvera

(31 maggio 2013)