Frontiere
“Ho saputo che sei stata un anno in un kibbutz: dove?”
“Dalle tue parti.”
La mia risposta fa ridere tutti, me compresa. Eppure è vero: il villaggio del marito libanese che un’amica mi ha appena presentato non dista probabilmente da Sasa più di qualche decina di chilometri, forse anche meno. Eppure sappiamo entrambi che si tratta di una distanza incolmabile, almeno per ora.
Questo scambio di battute è avvenuto più di dieci anni fa, ma nel frattempo le cose non sono cambiate. Mi è tornato in mente leggendo il passo assegnato come analisi del testo all’esame di stato, in cui Claudio Magris parla della frontiera invalicabile tra Italia e Jugoslavia nella sua infanzia. Ci sono confini che sembrano davvero impossibili da varcare – tutto ciò che si trova dall’altra parte è misterioso e irraggiungibile – e così appare da Sasa il panorama libanese che si vede all’orizzonte: sembra incredibile che quei luoghi irraggiungibili siano materialmente così vicini.
A volte, però, le cose cambiano, le frontiere perdono la loro rigidità, diventano sempre più permeabili e contemporaneamente sempre meno visibili. Una linea gialla larga meno di dieci centimetri, spesso nascosta dalla neve, avverte gli sciatori appena scesi dalla funivia a Plateau Rosa, sopra Cervinia, che stanno lasciando l’Italia e stanno entrando in Svizzera. Eppure quel confine, che in una giornata di sci si passa più volte avanti e indietro senza farci troppo caso, è stato settant’anni fa per mio padre, per la sua famiglia e per moltissimi altri il confine tra la morte e la vita.
È bello sognare il giorno in cui anche il confine tra Israele e il Libano si ridurrà a una sottile linea gialla.
Anna Segre, insegnante
(21 giugno 2013)