Periscopio – Trattative

francesco-lucreziServiranno a qualcosa, porteranno qualcosa di buono i negoziati diretti tra Israele e Palestina?
La riposta a tale domanda deve essere duplice, perché ogni negoziato, da sempre, serve essenzialmente a due cose: un primo obiettivo, più circoscritto, consiste, semplicemente, nel parlarsi. Parlarsi, conoscersi, valutare le reciproche posizioni, studiarsi. Generalmente, da questo punto di vista, i negoziati sono sempre buoni, servono sempre a qualcosa, se non altro perché, per lo più – ma non è una regola assoluta – mentre si tratta non ci si spara addosso. Ma la storia insegna che non è sempre così. Ci sono dei colloqui, delle trattative – quelle di Monaco, per esempio, tra quelli che allora sembravano i quattro grandi di Europa – che sarebbe certo stato meglio se non si fossero mai avviate. Comunque, per il caso in questione, adottiamo pure il giudizio prevalente. Le trattative servono, sono un fatto positivo, meno male che ci sono.
Il secondo obiettivo, quello più importante, consiste nel raggiungimento di un accordo. Un accordo serio, definitivo, che ponga termine a tutti i punti oggetto di contenzioso, e che apra la strada a una pace solida e duratura tra le due parti. Sarà raggiunto tale obiettivo? Ha almeno qualche probabilità di essere raggiunto? David Grossman, in un’intervista riportata su la Repubblica di un paio di settimane fa, ha affermato che esprimere scetticismo su tale risultato è, di per sé, un atto deprecabile, e indica un atteggiamento personale contrario alla pace. Mi dispiace essere da lui iscritto tra i ‘cattivi’, ma, personalmente, ritengo – pur con grande dispiacere – che le possibilità di successo siano zero. Il motivo è presto detto. Ammettiamo che le recenti affermazioni del Ministro degli Affari Religiosi dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Al-Habbash, pronunciate alla presenza del Presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e trasmesso dalla televisione ufficiale dell’Autorità Palestinese, secondo cui le trattative avrebbero la stessa funzione del famoso Trattato di Hudaybiyyah sottoscritto da Maometto (che, com’è noto, servì solo a fare disarmare i nemici, per poi attaccarli e annientarli), siano state solo una ‘sparata’; ammettiamo anche che Abu Mazen ammorbidisca le sue ultime dichiarazioni, secondo cui nei confini del futuro Stato palestinese non dovrebbe restare neanche un solo ebreo; ammettiamo che le trattative siano condotte con buona volontà, lealtà e sincerità. Ammettiamo che le due parti raggiungano un accordo su tutti i punti controversi: confini, insediamenti, Gerusalemme, collegamento tra Gaza e Cisgiordania, diritto al ritorno dei profughi, identità ebraica dello Stato di Israele, sfruttamento delle risorse naturali, fine della propaganda ostile, luoghi santi, lotta al terrorismo, sicurezza ecc ecc. Un accordo, ripeto, vero, sincero, senza retropensieri (alla Hudaybiyyah, per capirci) e “lingue biforcute”. Una pace autentica, nel rispetto dell’altro e nell’assoluta volontà di tutelarne l’identità, la libertà e tutti i diritti. Voglio ammettere, in via del tutto ipotetica, che sia possibile (quantunque, mi sia consentito dirlo, altamente improbabile). Cosa accadrebbe lo stesso giorno della firma? Si scatenerebbe immediatamente una gigantesca ondata di riprovazione e di rifiuto, che non coinvolgerebbe solo Hamas, Hezbollah, l’Iran ecc., ma grandissima parte del mondo islamico e del Terzo Mondo. L’Autorità Nazionale Palestinese sarebbe letteralmente sepolta dalle accuse di tradimento, e tutti i suoi dirigenti sarebbero immediatamente minacciati di morte. Non dico che tutto il mondo sarebbe contrario: non mancherebbero le manifestazioni di sostegno, anche ad alto livello, ma è assolutamente certa una fortissima reazione di opposizione. Ebbene, la domanda è: l’ANP saprebbe resistere a tale ondata? Saprebbe mantenere la parola data? Avrebbe la forza morale, politica, militare e, soprattutto, la volontà di farlo? Io, purtroppo, penso di no.
Lo dico con dolore, Grossman sbaglierebbe a mettermi tra i nemici della pace. Se fossi smentito dai fatti, la mia felicità sarebbe incalcolabile. Stiamo a vedere. Se dovessi fare una scommessa, scommetterei contro le mie previsioni, pur prevedendo di perdere.

Francesco Lucrezi, storico

(7 agosto 2013)