UE-Israele, linee di discordia

Schermata 2013-08-26 alle 12.51.18“Dobbiamo esaminare il documento più approfonditamente e verificare se esso contiene elementi che non erano nelle nostre intenzioni, modificando ciò che richiede di essere modificato, senza cambiare l’approccio complessivo”. Così il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius in visita in Israele ha commentato le nuove “Linee guida sull’idoneità delle entità israeliane e delle loro attività nei territori occupati da Israele dal giugno 1967 per sovvenzioni, premi e contributi finanziati dall’Unione europea dal 2014 in avanti” che minacciano di mutare profondamente le relazioni fra Stato ebraico e UE, e hanno destato grande preoccupazione nelle autorità israeliane.
Intenso il dibattito e i colloqui diplomatici sulla materia che si sono sviluppati nelle scorse settimane. Il numero di Pagine ebraiche di agosto propone un approfondimento sul documento che riportiamo di seguito.

Linee guida, linee di confine. Linee che gettano nuova luce e nuove ombre sulle relazioni politiche, economiche, culturali, tra Stato d’Israele e Unione Europea. La notizia è stata svelata in anteprima dal quotidiano Haaretz, che ha pubblicato le quattro pagine del documento emanato dalla Commissione europea: “Linee guida sull’idoneità delle entità israeliane e delle loro attività nei territori occupati da Israele dal giugno 1967 per sovvenzioni, premi e contributi finanziati dall’Unione europea dal 2014 in avanti”. Esplicitati nel documento, alla sezione A, punto 2, sono tutte le aree che l’atto della UE prende in considerazione: “le alture del Golan, la Striscia di Gaza, e la Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est”. Sarà la sede legale a risultare determinante per quanto riguarda sovvenzioni, premi e contributi diretti a entità israeliane in quanto tali: comprese nella definizione autorità regionali e locali, e altri enti pubblici, società pubbliche e private, persone giuridiche di ogni genere, incluse le organizzazioni no profit, escluse rimangono solo le autorità nazionali e le persone fisiche. Stessi principi si applicheranno per quanto riguarda finanziamenti indirizzati non a enti, ma a specifiche attività portate avanti dagli stessi, che saranno tuttavia considerate inidonee se attuate nei territori sopra menzionati anche nel caso in cui a realizzarle sia un’autorità statale nazionale o un ministero. Per certificare infine che tutti i soggetti in questione siano adatti a ricevere sovvenzioni, premi e contributi, le linee guida chiedono la firma di una dichiarazione in tal senso, un punto che è stato considerato tra tutti il più problematico dal governo israeliano nel prendere visione dell’atto, perché costringerebbe le autorità dello Stato ebraico ad apporre la propria firma su documenti che riconoscono come confini, confini che Israele non considera tali, in particolare nell’area di Gerusalemme. La dichiarazione dell’Unione Europea non consiste in una direttiva, come aveva in un primo momento annunciato Haaretz (direttiva che avrebbe generato in capo a tutti i 28 Stati Membri un obbligo di realizzarne gli obiettivi, pur lasciandoli liberi di decidere in quale forma implementarla), ma in un atto atipico e dunque dalla valenza giuridica meno netta e stringente, in particolare nel suo recepimento da parte dei singoli Stati. Tuttavia l’impatto si prospetta comunque potenzialmente dirompente. “Israele deve preoccuparsi? Sì e no – spiega Vittorio Dan Segre, giornalista e docente universitario di relazioni internazionali – No perché in fondo il documento non ha ad oggetto i rapporti con Israele in sé, ma solo con gli insediamenti. Sì perché nel concreto è spesso molto difficile distinguere, e per di più il danno d’immagine per tutto lo Stato è notevole e nella politica moderna l’immagine è fondamentale”. “Qui siamo di fronte a misure molto concrete, non a dichiarazioni platoniche – sottolinea Sergio Minerbi, che fu ambasciatore di Israele proprio a Bruxelles presso la Comunità europea – Può succedere di tutto, soprattutto perché dipenderà da che ordini su come agire verranno impartiti ai funzionari di livello più basso”. A esprimere forte inquietudine sono state le autorità israeliane. “Non accetteremo nessun editto esterno a proposito dei nostri confini – ha commentato con durezza il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu – La questione verrà risolta esclusivamente attraverso negoziati diretti fra le parti”. Già i negoziati diretti. Quelli che il segretario di Stato americano John Kerry sta lavorando da mesi per ristabilire, con molti segnali incoraggianti arrivati proprio in concomitanza con la nuova presa di posizione europea. Coincidenza sfortunata, consapevole volontà della UE di ritagliarsi qualche titolo di giornale sulle tematiche mediorientali o raffinata strategia del bastone e della carota? Gli analisti sembrano escludere questa ultima possibilità, propendendo decisamente per un’Unione Europea che, più o meno consciamente, dimostra sempre scarsa consapevolezza della questione israelo-palestinese, una posizione in questo caso abbastanza diffusa anche tra molti di coloro che si dichiarano favorevoli a una più dura presa di posizione della comunità internazionale contro gli insediamenti. Anche se non manca chi invece esprime soddisfazione per lo sviluppo. “Sono tanti anni che l’Unione Europea discute questo progetto, non ha senso stupirsi che siano arrivati a una conclusione – commenta invece Minerbi – A mio modo di vedere però la tempistica è sospetta e l’atto non fa altro che mettere i bastoni fra le ruote ai tentativi di Kerry”. Dello stesso parere anche Vittorio Dan Segre: “Mi sembra una decisione sbagliata presa in un momento sbagliato, ed è veramente incredibile come sia mancata la coordinazione con gli Stati Uniti”. Un ulteriore elemento di perplessità è rappresentato dal fatto che a rimetterci saranno anche i tantissimi palestinesi impiegati nelle industrie israeliane con sede nei territori che la UE esclude dalla cooperazione. E peggio ancora potrebbe andare, in questa prospettiva, se l’Unione porterà a compimento le nuove politiche riguardo all’obbligo di etichettare in modo esplicito i prodotti israeliani provenienti da quelle aree. Così a venire colpiti, saranno proprio coloro che il Vecchio Continente vorrebbe aiutare. A provare come la questione sia decisamente complessa. Forse troppo, per pensare di risolverla tracciando semplici linee.

Pagine Ebraiche, agosto 2013

(26 agosto 2013)