Israele – Gerusalemme, la rimonta di Lion
Qualche settimana fa, un sondaggio pubblicato dal quotidiano Maariv sull’esito delle elezioni amministrative di Gerusalemme, in programma (come in tutto il resto del paese) il prossimo 22 ottobre, assicurava al sindaco uscente Nir Barkat il 47 per cento delle preferenze, e allo sfidante Moshe Lion il 28, pur con un 43 per cento degli intervistati che ancora si dichiarava indeciso. Ma poco più di 48 ore fa, un simile studio condotto dallo Smith Institute per il Jerusalem Post e la rivista finanziaria Globes, ha svelato una situazione ben diversa, con l’attuale primo cittadino che confermerebbe il suo 47 per cento, ma il candidato fortemente sponsorizzato da Yisrael Beytenu in netto recupero al 41.
Sconosciuto ai più fino e addirittura residente non a Gerusalemme, ma nel sobborgo di Tel Aviv Giv’ataim fino a pochi mesi fa, Lion, amico personale della guida di Beytenu Avigdor Lieberman, sta raccogliendo l’endorsement dei rappresentanti di molti gruppi di interesse importanti della Capitale, dal partito sefardita religioso Shas (il cui leader, Aryeh Deri, ha apertamente indicato il sostegno a Lion come prezzo da pagare per stipulare un’alleanza con Beytenu capace di scardinare il governo Netanyahu), a molte organizzazioni ashkenazite. Passando anche per quello, non scontato, dello stesso Likud, di cui è divenuto il candidato ufficiale (nel 2009 fu Barkat a essere appoggiato). L’incognita è se queste sponsorizzazioni di alto livello basteranno a conquistare il consenso dell’opinione pubblica, che mantiene un giudizio generalmente positivo sull’unico mandato del sindaco uscente. Senza contare che a Lion manca ancora il sostegno forse più significativo, quello dello stesso premier Benjamin Netanyahu, che al momento tace. L’intreccio così forte tra politica nazionale e locale è raro in Israele (basti pensare che Barkat in questi anni ha governato con una coalizione che comprendeva praticamente l’intero spettro dei partiti).
Su un punto gli analisti concordano: l’esito della sfida passerà dall’affluenza alle urne, quella dei haredim, ma anche quella della popolazione laica. Ricordando che un potenziale peso decisivo, lo avrebbero i palestinesi residenti a Gerusalemme Est, che rappresentano circa un 40 per cento della città, ma che tradizionalmente boicottano le urne per protestare contro il governo di Israele. “Decisione di grande orgoglio nazionalistico e di grandissima insipienza politica – ha scritto il demografo Sergio Della Pergola – Se Gerusalemme Est partecipasse al voto, otterrebbe per lo meno un quarto dei seggi in consiglio comunale, e la gestione della città ne uscirebbe radicalmente trasformata. E forse anche la politica nazionale. Ma se è vero che chi non lavora non mangia, chi non vota pure”.
Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked
(20 ottobre 2013)