Qui Roma – Come cambia il Medio Oriente
Da qui a pochi mesi israeliani e palestinesi firmeranno un accordo di pace. L’Iran rinuncerà al nucleare. La guerra civile in Siria si calmerà, non saranno più seppellite vittime e i diritti fondamentali saranno tutelati. Che tutto ciò si verifichi – almeno in un breve lasso di tempo – appare molto lontano dal possibile, al limite dell’impossibile. L’unica cosa certa quando si parla di Medio Oriente è l’impossibilità di fare previsioni. E’ emerso anche ieri dalla parole di Monica Maggioni, direttrice di RaiNews24, e di Maurizio Molinari, giornalista della La Stampa in occasione dell’incontro organizzato dal Centro di cultura ebraica della Comunità ebraica di Roma dal titolo “Medio Oriente fra dittatori e libertà – cosa dobbiamo aspettarci per il 2014”. A introdurre la serata, moderata da Jonathan Della Rocca, la direttrice del Centro Miriam Haiun.
Dalla scelta del presidente americano Obama di non attaccare la Siria al colloquio tra il segretario di Stato USA John Kerry e il premier israeliano Benjamin Netanyahu, Della Rocca mette sul tavolo le tante problematiche legate ai rivolgimenti in Medio Oriente degli ultimi anni. Si parte dalla Siria, dove il conflitto interno, iniziato nel 2011, sta devastando il paese con oltre 100mila vittime e più di due milioni di profughi. “Bashar Al Assad non è spaventato né si sente sotto assedio – racconta Monica Maggioni, protagonista di un’intervista esclusiva al dittatore siriano che ha fatto il giro del mondo – è consapevole della situazione, lucido. Ha negato l’uso delle armi chimiche sostenendo che non avrebbe avuto senso utilizzarle: perché farlo con gli ispettori Onu in arrivo e a 500 metri in linea d’aria da Damasco”. La giornalista invita poi a fare attenzione nel categorizzare in modo chiaro le fazioni in campo. “Quando parliamo dei ribelli, deve essere chiaro che non si tratta più del movimento laico che a Damasco era sceso in piazza per chiedere più democrazia e diritti. Siamo di fronte a una forte frammentazione con alcune zone dominate dalla bandiera nera di Al Qaeda”. Capire le sfumature è fondamentale per evitare facili generalizzazioni. E sembra essere stata proprio la situazione complicata e indefinita a fermare Barack Obama da quello che Maurizio Molinari racconta come un attacco oramai già deciso. “Il ripensamento di Obama è avvenuto a poche ore dal via all’attacco militare – spiega Molinari, protagonista mercoledì al Maxxi con la presentazione del suo nuovo libro L’aquila e la farfalla – Perché il XXI secolo sarà ancora americano (Rizzoli) – tutto sembrava deciso e poi in un passeggiata nel giardino della Casa Bianca con uno dei suoi consiglieri ha fatto cambiare idea al presidente”. Iniziando una guerra in una situazione così nebulosa – Afghanistan e Iraq insegnano – non si sa dove si vanno mettere i piedi. E così il passo indietro che – come raccontano i due giornalisti – ha fatto infuriare l’Arabia Saudita, fortemente a favore di un intervento per rovesciare Assad, di fatto avamposto iraniano nella regione.
L’Iran, grande preoccupazione di Israele, intanto ammicca alla Comunità internazionale con i sorrisi e l’aplomb del nuovo presidente Hassan Rohani. “Nella sua visita di martedì, Netanyahu ha invitato Kerry ma anche la stampa a fare attenzione all’apparente nuovo corso iraniano: non accontentatevi di tre sorrisi, non alleggerite la pressione né le sanzioni”, riporta Maggioni, raccontando le preoccupazioni del premier israeliano, in visita negli scorsi giorni a Roma. “Per quanto mi riguarda – riflette Maggioni, guardando al quadro generale – credo che la parola chiave che muove Rohani e questi signori sia: convenienza”. Da vedere cosa considereranno conveniente le alte sfere di Teheran ma anche l’Arabia Saudita, il Qatar e, un nome che forse può sorprendere, la Cina. “La Cina – sottolinea Molinari – potrebbe essere il nuovo attore della regione, mosso però da motivazioni più economiche che politiche”. Mentre gli americani – che secondo Molinari appaiono fiduciosi di portare a casa un risultato o con israeliani e palestinesi o con la questione nucleare iraniana – quindi sembrano volersi sfilare dal Medio Oriente, forti della recente autonomia energetica ottenuta, a prendere le redini potrebbe essere Pechino, oramai regina dell’economia mondiale. “Valuteranno costi e benefici del loro inserimento – riflette il giornalista de La Stampa – e Israele guarda con interesse al partner cinese. Ci sono già rapporti economici, delegazioni viaggiano tra i due paese ma la domanda è Israele può veramente avere un alleato non democratico. Il terreno comune con gli Stati Uniti è proprio questo nesso, la condivisione dei medesimi valori. Non so se per lo Stato ebraico sia possibile, finché la questione democrazia non sia risolta, avere come alleata la Cina”.
Intanto la Turchia sta alla finestra e cerca di diventare lei punto di riferimento, contendendo la fetta di torta più grande con l’Arabia Saudita e ammiccando all’Iran. L’Egitto appare ancora come una polveriera così come la Siria, immersa in una palude da cui difficilmente emergerà nel breve periodo. Insomma senza una sfera di cristallo è difficile prevedere cosa succederà nel prossimo futuro in Medio Oriente, sottolinea Maggioni.
Daniel Reichel
(25 ottobre 2013)