In cornice – Jeff Wall
Le fotografie che Jeff Wall espone al Museo di Tel Aviv vanno lette a diversi livelli, ma colpiscono a tutti. Le immagini di per sé coinvolgono per la loro perfezione, per l’attenzione a ogni dettaglio tecnico: per scattarle, Wall prepara un vero e proprio set cinematografico con attori professionisti; poi, cura con attenzione maniacale anche la fase di post-produzione perché i colori, le ombreggiature, siano perfette. Conviene passare del tempo davanti a ciascuna delle fotografie per scoprire gradualmente tutti i numerosi indizi che vi ha disseminato e che illustrano la sua visione della scena, dei personaggi, della situazione e così comprendere il suo pensiero in proposito. In “Mimic”, ad esempio, un giovane uomo bianco con la barba guarda un asiatico e mima i suoi occhi a mandorla, con un gesto di sapore razzista. Nel frattempo, però, dà la mano alla compagna, anche lei bianca, che ha la stessa mimica facciale dell’asiatico, tanto che alla fine è il barbuto – peraltro vestito da ragazzo di periferia – a risultare isolato. I tre stano percorrendo una strada deserta in discesa, con le macchine (simbolo del mondo industriale) parcheggiate/ferme, e hanno appena superato uno strano cartello che pare indicare il divieto di accesso per le persone di colore. Come a dire che i vecchi pregiudizi verso i neri, apparentemente relegati al passato, si sono oggi trasformati in un’ostilità anti-asiatica, che è forte nonostante sia chiaro come i pregiudizi razziali abbiano rallentato lo sviluppo americano. La discesa, il superamento dei vecchi steccati, è solo superficiale. In “Insomnia” un uomo con gli occhi sbarrati è disteso in cucina, sotto il tavolo, in piena notte. L’ambiente è perfettamente pulito, in ordine, tutti i piatti lavati, i fornelli lindi; eppure uno sportello e una porta sono stati lasciati socchiusi, e una sedia è rivolta verso la finestra come se fosse stata appena chiusa. E’ la concretizzazione dei problemi psichici dell’attore-protagonista, che cerca di sistemare un problema, ma ne lascia aperti altri, che si concentra a fondo su alcune questioni e gliene sfuggono altre – evidenti, e che quindi non riesce a superare l’insieme delle sue paure. Jeff Wall sta riscuotendo notevole successo a Tel Aviv, anche se qualcuno ha storto il naso, perché le sue fotografie non sono abbastanza innovative. Wall aveva recentemente esposto anche al Padiglione di Arte Contemporanea di Milano, senza però lasciare troppo il segno: guardare le sue fotografie è quindi anche un modo per comprendere meglio le differenze fra il mondo culturale israeliano e quello italiano.
Daniele Liberanome, critico d’arte
(4 novembre 2013)