Israele – Scrupoli e attese
Embedded. Cioè a stretto contatto con chi è l’oggetto della mia indagine: in pratica, la situazione più difficile per una giornalista. Eppure, questa volta, mentre guardo il mare dalla stanza dell’albergo di Tel Aviv dove trascorrerò i primi due giorni della First Science Journalism Mission to Israel, non riesco proprio a trovare in me quel distacco e quello spirito critico e indagatore che, mi hanno insegnato, garantisce un reportage obiettivo. Innanzitutto perché nei prossimi 10 giorni io e gli altri 11 giornalisti scientifici (da Giappone, Guatemala, Stati Uniti, Germania, Canada e persino dall’Egitto, da cui arriva un collega che scrive per la prestigiosa rivista Nature), invitati dall’Accademia Israeliana delle Scienze per questo Grand Tour delle istituzioni scientifiche, visiteremo alcuni dei più importanti laboratori di ricerca e siti archeologici del Paese (e anche fuori, giacché faremo una puntata in giornata per scoprire a che punto è la costruzione di Sesame, l’acceleratore di particelle che ha sede in Giordania e che riunisce scienziati di Paesi che non hanno certo relazioni amichevoli). Poi perché incontreremo a cena almeno un paio di premi Nobel e scrittori del calibro di Meir Shalev; infine perché sono felice quando Israele, invece di mettere in piedi sistemi di contropropaganda, decide semplicemente di mostrare il lato migliore di sé. Ma la scienza che siamo venuti a raccontare è un’opera umana come le altre e riflette anche le scelte etiche e politiche di uno Stato, è lo specchio della società nella quale opera. È questo che spero di riuscire a raccontare a chi legge, perché la scienza non è affatto noiosa né è argomento per iniziati: è la lente attraverso la quale possiamo capire come un Paese guarda al suo futuro.
Daniela Ovadia, giornalista scientifica
(4 novembre 2013)