Israele – Sesame, la luce e la pace
Attraversare il deserto sulla strada per Gerico, in mezzo agli accampamenti beduini, nella luce del primo mattino, è già uno spettacolo di per sé. Passare in Giordania dal ponte di Allenby con una delegazione di giornalisti e scienziati israeliani, normalmente non autorizzati a varcare qui il confine, è stata però un’emozione ancora più grande. Per chiunque conosca la storia di questo paese, il check point Allenby rappresenta una luogo mitico dove, fin dai tempi del mandato britannico, transitavano le autorità e le spie, gli amici, i nemici e, non ultimi, i prigionieri oggetto di scambio.
Dopo innumerevoli soste e controlli alle barriere raggiungiamo la nostra meta: Sesame, l’acceleratore di particelle in costruzione a qualche decina di chilometri da Amman, in mezzo al deserto, al cui progetto partecipano scienziati israeliani, palestinesi, giordani, egiziani, turchi, greco ciprioti, iraniani e pachistani.
Organizzare la nostra spedizione è costato mesi di burocrazia e una costante cooperazione tra le autorità israeliane e giordane, ma tutto ciò non è nulla a fronte della tenacia dimostrata da coloro che hanno fortemente voluto e immaginato questa struttura. Tra questi il fisico italiano Sergio Fubini che, insieme al fisico israeliano Eliezer Rabinovici che ci accompagna come guida in questa avventura, ha per primo immaginato che la scienza potesse unire ciò che le guerre hanno separato.
Sesame ha formalmente quindici anni di vita, ma nessun fascio di elettroni è ancora stato lanciato nell’anello di 75 metri di diametro che abbiamo visitato, guidati dai fisici e dagli ingeneri giordani e palestinesi che stanno terminando la costruzione della macchina. Sono mancati i soldi, ma oggi la raccolta è a buon punto e l’Italia (con l’Istituto nazionale di fisica nucleare) è tra i massimi contribuenti, con un finanziamento di 5 milioni di euro. Si può finalmente partire.
“Ci sono voluti anni per costruire un contesto politico e amministrativo tale da consentire agli scienziati della regione di venire fino a qui. Anni in cui sono stati questi stessi scienziati a portare i propri governi in luoghi dove questi non pensavano di andare, e magari neppure volevano” spiega Rabinovici. Non sono mancate le battute d’arresto. L’ultima è dovuta all’impossibilità di incassare i 5 milioni di contributo iraniano al progetto poiché nessuna banca vuole avere a che fare con quei soldi a causa di possibili sanzioni.
Nonostante ciò un fascio di elettroni uscirà dal generatore ed entrerà nel primo anello di accelerazione tra qualche settimana. Non è ancora la piena operatività, ma è l’inizio della realizzazione di un sogno. “Quando lavoriamo insieme la politica rimane fuori. Ognuno di noi ha le proprie cicatrici dal conflitto, ma sappiamo che non possiamo fallire: perché la gente creda nella possibilità della convivenza, serve un esempio positivo, e noi siamo questo. Vogliamo lavorare insieme e vogliamo fare buona scienza, ai massimi livelli” mi dice Rabinovici sulla via del ritorno.
Passando dall’ultimo villaggio giordano prima del confine, mi accorgo che anche qui, come in Israele, dipingono i tetti di blu. Pare sia un modo per ingannare il diavolo: passando sulla casa, e vedendo tutto quel blu, penserà di essere ancora in cielo e quindi l’attraverserà senza fermarsi, inabissandosi nella terra. Anche il tetto di Sesame è blu, non so se per scelta o per caso: spero solo che il diavolo attraversi quel posto senza fermarsi e lasci agli uomini di scienza il tempo di dimostrare che esistono “universi paralleli”, come ci ha detto Rabinovici, dove non esistono nemici.
Daniela Ovadia, giornalista scientifica
(8 novembre 2013)