Israele – Masada? Un simbolo di vita
Per quanti titoli universitari abbiano e pubblicazioni scientifiche alle spalle, gli archeologi, quando devono portarti sul campo a vedere scavi e grotte, somigliano un po’ tutti a Indiana Jones. Saranno le scarpe da camminata, la camicia stazzonata o il pantalone multitasche dal quale emergono cartine, torce e piccoli reperti, ma conservano un’aura di avventura e mistero anche se oggi l’archeologia utilizza tutti gli strumenti della scienza moderna, dal sequenziamento genico del materiale organico fino allo studio delle stratificazioni geologiche. Se poi, come Guy Stiebel, professore di archeologia all’Università Ebraica di Gerusalemme e direttore per 18 anni degli scavi di Masada, ti portano nella grotta di Qumran dove sono stati trovati i rotoli del Mar Morto (ovviamente aperta specialmente per te) e ti raccontano tutto quello che l’archeologia ha scoperto sulle popolazioni che abitavano il deserto di Giudea in epoca romana, diventano davvero irresistibili.
E infatti abbiamo camminato su e giù per il deserto per oltre quattro ore, dalle grotte al sito dove vivevano gli Esseni fino alla riserva di Ein Gedi, dove natura e archeologia si mescolano e si incontrano. Stiebel, uno dei massimi esperti di storia romana e militare, ha analizzato tutti i rotoli che raccolgono le cronache della vita quotidiana degli Esseni, una setta fuoriuscita dall’ebraismo rabbinico per rifugiarsi tra le dune nell’attesa del giorno del Giudizio, quando i Figli della Luce avranno la meglio sull’Oscurità.
Nel frattempo, però, ossessionati dal concetto di purezza, vivevano la loro vita isolati dal mondo (e dalle donne) producendo il proprio cibo, fabbricando i propri piatti, trascrivendo – come poi faranno gli amanuensi medioevali – i sacri testi (e non solo) e soprattutto bagnandosi due volte al giorno in uno dei tanti bagni rituali che costellano il loro insediamento.
I rotoli del Mar Morto, che molti conoscono soprattutto come una delle più antiche versioni di alcuni libri della Torah, sono anche (e soprattutto) semplici cronache, gossip riportati dai viaggiatori. Oggi sono una miniera di informazioni per storici e archeologi.
Stiebel ci ha anche raccontato di Masada, la fortezza simbolo della rivolta ebraica contro i romani, e ha sfatato qualche mito: forse lassù non abitavano persone perbene, ma predoni e criminali esiliati da Gerusalemme; forse non si sono uccisi per patriottismo ma per evitare una morte ben più lenta e dolorosa per mano romana. E forse i romani non erano poi così cattivi come ce li rappresenta una storiografia di parte, ma hanno fatto grande questo lembo di terra, consentendogli di emergere quale culla della civiltà occidentale.
“Masada è la mia casa” mi ha detto Stiebel mentre camminavano sulle rive del Mar Morto. “Per 18 anni ho scavato ogni angolo e letto ogni cosa che la riguardi. Qui in Israele è un simbolo, un posto dove rivendicare le proprie radici nazionali. Ma io non riesco a vedere nella fortezza un luogo di morte. Per me è un luogo di vita: ho trovato il forno e la panetteria. So come si vestivano gli abitanti e come tessevano i tessuti. Ho studiato il loro modo di utilizzare la poca acqua disponibile. Conosco persino i loro nomi e le loro professioni. Ogni tanto, quando sono solo negli scavi, al tramonto, mi pare di averli lì, tutti intorno a me. Duemila tra uomini, donne e bambini, di cui conosco la vita in ogni dettaglio”.
Daniela Ovadia, giornalista scientifica
(10 novembre 2013)