Periscopio – Accordi sospetti
Per esprimere un’opinione meditata sull’accordo sottoscritto tra i grandi e l’Iran, riguardo a un parziale e temporaneo arresto del progetto nucleare iraniano, in cambio di un alleggerimento delle sanzioni economiche internazionali, occorrerebbe disporre di elementi di conoscenza tecnica e di doti divinatorie che difettano evidentemente non soltanto all’uomo comune, ma anche alle persone più esperte ed informate. Quanto manca effettivamente all’Iran – in termini di tempo, di tecnologia, di risorse – per potersi dotare dell’arma atomica? Anche credendo all’attuale interruzione del programma, in quanto tempo, in caso di ripresa, si raggiungerebbe la “linea rossa”? In che misura i nuovi proventi finanziari, permessi dall’accordo, gioveranno alla Repubblica islamica per incrementare (o essere in grado, al momento opportuno, di farlo) la propria potenza militare? I controlli saranno davvero efficaci, puntuali, rigorosi? O sarà possibile schivarli, eluderli, aggirarli? Sarà davvero possibile sottoporre a controllo tutto l’enorme territorio persiano? In caso di scarsa collaborazione da parte del controllato, i controllori denunceranno la mancanza, o, in nome del nuovo clima disteso, lasceranno correre, per non disturbare i rispettivi governi, parlamenti e opinioni pubbliche, alquanto stanche dell’annosa questione? La svolta politica favorirà un’evoluzione della teocrazia iraniana in senso più moderato, o, almeno, un po’ meno aggressivo, o, al contrario, rafforzerà i falchi, convinti della debolezza e scarsa determinazione degli antagonisti occidentali? God only knows.
C’è un Paese, però, e uno solo, che guarda alla faccenda con occhi diversi da tutti gli altri. Un Paese che sa che a essere in gioco non è solo una delle tante questioni politico-diplomatiche presenti nel panorama internazionale, ma una vicenda che assume, per i suoi cittadini, un chiaro significato di vita o di morte. Il fatto che il governo di questo Stato sia stato il solo a denunciare con forza la pericolosità di tale accordo esprime non tanto la sua evidente solitudine nella famiglia delle nazioni, ma anche, soprattutto, l’assoluta peculiarità della sua posizione, che lo vedrebbe esposto, in primissima fila, alla mortale arma nemica, se e quando essa (domani? dopodomani?) dovesse essere pronta.
Se, come abbiamo detto, non disponiamo di informazioni o doti di preveggenza tali da farci rispondere alle domande dianzi formulate, sul piano politico la situazione ci sembra invece chiarissima. La questione, infatti, non è tanto quella della disponibilità, da parte dell’Iran, dell’arma nucleare (altri Paesi ce l’hanno) , ma quella della natura intrinsecamente violenta e fanatica, morbosamente antisemita di tale regime, quotidianamente impegnato in deliranti affermazioni di odio contro la “malapianta” sionista, il ‘cancro’ da estirpare dalla faccia della Terra. Parole che il nuovo corso cosiddetto ‘moderato’ non hanno in alcun modo interrotto, né, tanto meno, ritrattato.
Sarebbe stato proprio troppo chiedere, tra le varie cose, che tale assurda e farneticante campagna venisse meno, una volta per tutta? Chiedere che l’Iran si avviasse a diventare un Paese ‘normale’, dismettendo le sembianze del cobra velenoso, a cui ci siamo purtroppo, tristemente, abituati? Ovviamente, nessuno ci ha neanche provato.
Non vogliamo essere necessariamente pessimisti, non vogliamo dare per scontato che l’accordo sia un fatto certamente negativo, né vogliamo fare automaticamente nostre tutte le parole del premier Netanyahu. Ma siamo comunque convinti che, nel generale plauso universale, almeno una voce di allarme sia utile e necessaria, per evitare che il mondo si lasci tutto incantare dall’idea di una bella favola a lieto fine, di un problema ormai risolto, o in via di sicura risoluzione. Ogni sottovalutazione del pericolo sarebbe un errore tragico e imperdonabile.
Francesco Lucrezi, storico
(27 novembre 2013)