Fra Europa e Medio Oriente – Energia per costruire il futuro

Sul numero di Pagine Ebraiche di dicembre attualmente in distribuzione spazio alle potenzialità insite nello sfruttamento dei giacimenti di gas scoperti al largo delle coste israeliane, come esposte da Valeria Termini dell’Autorità nazionale per l’energia. Ripubblichiamo di seguito il testo in una versione aggiornata.

valeria termini sitoIl gas come strumento di pace per il Medio Oriente. Il gas come elemento di coesione europea. Il gas per rilanciare le economie del sud Europa, tra cui quella italiana. Il biblico Levietano, il giacimento più grande mai scoperto nel Mediterraneo (150 km dalla costa di Haifa), e i suoi fratelli minori Tamar e Dalit hanno aperto scenari nuovi e rivoluzionari nel panorama energetico internazionale e il loro influsso potrebbe farsi sentire anche in campo politico.
Tra le tappe di questa rivoluzione c’è Roma: il vertice intergovernativo del 2 dicembre tra Israele e Italia, con la stipula di diversi accordi bilaterali tra cui uno in ambito energetico, è uno snodo importante non solo per la collaborazione tra i due paesi ma anche per i progetti futuri che coinvolgono l’Europa intera. Il perché è presto detto: il 21 ottobre scorso l’Alta Corte di Giustizia d’Israele ha dato il nulla osta all’esportazione del 40 per cento del gas estratto dai giacimenti israeliani. Un via libera necessario dopo che il fronte politico interno si era diviso, con l’opinione pubblica a premere perché il gas fosse utilizzato solo per il fabbisogno interno. La luce verde della Corte fa invece entrare Israele nel novero dei paesi esportatori e l’Italia si candida a diventare una zona di transito strategico del gas verso l’Europa. La costruzione di infrastrutture, l’impiego di aziende del settore e la diversificazione dell’approvvigionamento energetico ridarebbero impulso alla depressa economia italiana. Le strette di mano tra il premier Enrico Letta e il premier Benjamin Netanyahu potrebbero quindi avere un valore molto più significativo dello scambio di cortesie. Per dare un’idea delle dimensioni e del valore del triangolo energetico delle coste israeliane, la Banca centrale di Israele ha affermato che la nuova fornitura di gas farà crescere dell’1per cento il Pil nazionale. I circa 540 miliardi di metri cubi di gas potranno soddisfare per almeno 25 anni il fabbisogno interno. Per una nazione che fino all’altro ieri era in perenne ricerca di fonti energetiche e con vicini, per così dire, poco propensi al dialogo, Levietano, Tamar e Dalit sono una vera rivoluzione. Ad aver investito nel progetto, diverse compagnie israeliane e internazionali, in primis Noble Energy, Delek Drilling, Avner Oil Exploration, e Isramco che aspettavano con una certa urgenza la risposta dell’Alta Corte in merito alle esportazioni. Non mancano le polemiche – oltre alle richieste dell’opinione pubblica – con voci come quella del Ceo della Eilat Ashkelon Pipeline Co., Yossi Peled, che criticano il comportamento dell’amministrazione israeliana, giudicata lenta e imbrigliata nella burocrazia. “Il tempo non è dalla nostra parte aveva dichiarato”, ha dichiarato Peled al quotidiano Jerusalem Post, preoccupato che le compagnie internazionali rivolgano la loro attenzione alle coste libanesi. Secondo Peled, “è abbastanza probabile che ci sia del gas anche a largo delle coste del Libano”, quindi ogni ritardo spazientirebbe gli investitori che già guardano con interesse oltre la zona di competenza israeliana. Polemiche a parte, sul fronte Israele- Europa si sta lavorando a un progetto che vede coinvolte Cipro, Grecia e Italia con il possibile trasporto via mare del gas trasformato in forma liquida o compressa, grazie alle nuove tecnologie. “In ottica europea – spiega a Pagine Ebraiche Valeria Termini, membro dell’Autorità nazionale per l’energia e il gas nonché docente della Facoltà di Economia all’Università Roma Tre – la sicurezza dell’approvvigionamento e la diversificazione delle fonti energetiche costituiscono un potenziale elemento di coesione, un forte aggregatore di interessi dei Paesi membri. L’Unione europea dipende per oltre l’80 per cento dalle importazioni di petrolio e il 60 di gas da un piccolo nucleo di Paesi produttori extra-europei. La diversificazione delle fonti aumenta la sicurezza e, in un orizzonte temporale più lungo, permetterà di abbassare i costi dell’energia, rendendo le nostre industrie più competitive”. C’è poi un altro punto su cui la professoressa Termini pone l’accento, “l’aspetto ancor più importante, guardando ai giacimenti israeliani, è che le nuove scoperte potranno essere utilizzate come significativo strumento di pace, portando la voce di Israele in un’ Europa interessata alle nuove riserve di gas e quella dell’Europa nella regione del Mediterraneo, generando benefici anche alle popolazioni e ai paesi confinanti, come la Giordania e forse i Palestinesi. In tutto ciò all’Italia spetta un ruolo significativo, di ponte verso l’Europa”. Il primo ministro israeliano Netanyahu ha infatti dato il via libera all’immediata esportazione di gas alla confinante Giordania. Ma si guarda anche alla Turchia e come dimostra uno dei punti della Conferenza su Business ed Energia (tenutasi ai primi di novembre a Ramat Gan), ci si chiede inoltre se sarà possibile stipulare accordi con l’Autorità palestinese e l’Egitto. Esportazioni commerciali per la fornitura del fabbisogno energetico potrebbero dunque essere una chiave per la normalizzazione dei rapporti nella regione. Fare previsioni in una realtà come quella mediorientale è quasi impossibile. Una via però potrebbe essere stata tracciata. E intanto l’Italia cerca di non perdere il treno delle possibilità che arriva da Israele.

Daniel Reichel, Pagine Ebraiche, dicembre 2013

(10 dicembre 2013)