Siria – Il grande cuore di Israele e le porte aperte allo Ziv Medical
Aiutare chi ne ha bisogno, senza domande, senza distinzioni. Affermare che anche di fronte a un conflitto lungo e sanguinoso come quello che devasta la Siria e la sua popolazione, una risposta concreta può essere data. La storia dei feriti siriani che vengono accompagnati e lasciati al confine con Israele per essere curati ha fatto il giro del mondo. Come raccontato su Pagine Ebraiche si è recentemente festeggiata anche la nascita del primo bimbo. Storie che in genere però non vengono così facilmente messe in luce sui grandi quotidiani italiani.
Un lungo e approfondito articolo sul tema richiamato in prima pagina è apparso invece oggi su Repubblica. Il corrispondente in Israele racconta come i medici si ritrovano di fronte a pazienti in condizioni gravissime, spesso senza nessun tipo di indicazione medica circa le loro condizioni, a volte con biglietti intrisi di sangue spillati sui vestiti per dare qualche informazione (“Auguri collega chirurgo, questo ragazzo di 28 anni è stato ferito al petto da un proiettile che ha frantumato alcune costole e le schegge hanno investito fegato e diaframma. Vi prego di fare ciò che è necessario e vi ringrazio in anticipo” un esempio di queste note).
“Noi non chiediamo nulla ai nostri pazienti, e fra loro ho notato anche qualche barba salafita, il nostro dovere è di aiutarli e basta – ha spiegato Calin Shapira, vicedirettore dello Ziv Medical Center di Zfat – Non c’è tempo per le domande in terapia d’urgenza”.
Le donne lo sanno: quando inizia il travaglio, travaglio di nome e di fatto, iniziano i guai. Per superare il momento ed uscirne in due, è necessario abbandonarsi, fidarsi. La nascita di un bambino viaggia su un tempo sospeso, con regole proprie. Regole che non per forza rispettano quelle universalmente note. Ed è per questo che sorprende ma non troppo, una lietissima novella: il 3 novembre allo Ziv Medical Center di Zfat è nato il primo bambino siriano. La neo-mamma ventenne è stata trasportata d’urgenza durante la notte in Israele e ha potuto dare alla luce il suo piccolo, assistita dallo staff medico dello Ziv. Vivendo nell’area di Kunetra, preda della guerra, la giovane non aveva libero accesso all’ospedale. Ha tentato allora il tutto per tutto ed è riuscita ad essere accolta oltre il confine dall’esercito israeliano. “Ero spaventata di entrare in una zona ‘nemica’ – ha raccontato – ma ero spaventata di più per la vita di mio figlio”. Dopo aver partorito ed essere stata accudita, la mamma siriana non ha più paura, lei e il suo bambino sono al sicuro. Sembra assurdo pensare che a una manciata di metri di distanza, il conflitto stia mettendo in ginocchio un’intera popolazione. All’ospedale la giovane ha raccontato infatti di come da tempo non si alimentava di altro che di riso; proprio in Israele ha potuto assaggiare nuovamente verdure e la carne. Ostetriche, infermieri, medici, l’intero reparto di maternità dello Ziv Medical Center, è in movimento nel tentativo di aiutare mamma e figlio, cercando di creare un ambiente sereno intorno al nucleo familiare nuovo di zecca. “Perché questo è il nostro lavoro” dice Mira Eli, infermiera. Un lavoro che non conosce altre regole se non quelle basate sulla fiducia. E questo la mamma siriana lo ha imparato grazie al suo bambino.
r.s., Pagine Ebraiche, dicembre 2013
(11 dicembre 2013)