Il lavoro è ortodosso (e donna)
Lo dicono i dati statistici, e il tema è al centro del dibattito pubblico. La popolazione haredi in Israele, circa 800mila persone, aumenta rapidamente. Oggi rappresenta circa il 10 per cento del paese, poco più di quattro uomini ogni dieci lavorano e il loro salario medio si attesta al 57 per cento del salario medio degli altri israeliani. Numeri difficilmente sostenibili a medio e lungo termine, se si pensa che secondo le proiezioni, nel 2050 i haredim potrebbero costituire un quarto dei cittadini dello Stato ebraico, in virtù dell’altissimo tasso di natalità (5/7 figli per coppia). Da parecchi mesi a essere sotto i riflettori, è la riforma che dovrebbe eliminare in buona parte l’esenzione dal servizio militare degli studenti delle yeshivot. Ma se essa rappresenta senz’altro uno snodo importante nella prospettiva di garantire un migliore inserimento dei haredim nel mondo del lavoro, silenziosamente sono tante le cose che si stanno muovendo nel paese.
Un elemento cruciale da considerare è la percentuale di donne che lavorano, sensibilmente più alta degli uomini (circa il 61 contro il 45), per permettere ai propri mariti di proseguire gli studi religiosi, considerando anche il fatto che a coloro che richiedono l’esenzione dal servizio di leva per lo studio, la possibilità di lavorare è preclusa dalla legge per molti anni. Sono almeno duemila e in rapida crescita per esempio, le harediot impiegate nelle grandi compagnie di high-tech. Come Matrix, società di Modiin Illit, che ne ha assunte diverse centinaia, in una sorta di patto sociale che soddisfa tutti, manager, lavoratrici, clienti. La società fornisce innanzitutto la formazione di base che consente, secondo le parole del direttore operativo Libi Affen “di accogliere ragazze che altrimenti rimarrebbero tutto il giorno in casa, e addestrarle per farle rendere tanto quanto un laureato dell’Università di Ben Gurion o di Tel Aviv”. A un costo però, particolare non trascurabile, decisamente inferiore. Non perché, ci tengono a sottolineare i dirigenti di Matrix, le lavoratrici vengano in alcun modo discriminate, ma perché la paga più bassa viene compensata con altri benefici: orari flessibili per consentire di accompagnare i bambini a scuola, nursery dedicate alla cura dei neonati, cucinini e stanze per la pausa pranzo rigorosamente kosher e separate per uomini e donne, sale riunioni dalle pareti e porte trasparenti, per permettere l’incontro con i clienti uomini nel rispetto delle regole di modestia, insomma un ambiente di lavoro in cui sentirsi completamente a proprio agio. Un compromesso che per di più potrebbe costituire una buona soluzione per evitare la rilocazione delle società verso paesi emergenti con costi del lavoro inferiori (“Perché andare a cercare in Cina ciò che puoi trovare a Modiin?” sottolinea Elisha Yanay, a capo della Israel Association of Electronics and Software, ricordando come tra i 20 e i 30 mila posti nell’high tech nel paese siano a rischio di venire trasferiti verso gli Stati asiatici). “Le lavoratrici harediot sono diligenti ed estremamente motivate” ricorda ancora Naora Shalgi, responsabile delle risorse umane della società di assistenza clienti Isracard di Tel Aviv, che oggi ne impiega oltre 120. Un’altra qualità che viene messa in luce è la stabilità di impiego, così diverso dall’altissimo tasso di ricambio che questo genere di compagnie devono generalmente sopportare. Uno degli ostacoli con cui spesso i haredim (uomini quanto donne) che desiderano cercare un lavoro si trovano a misurarsi è la mancanza di competenze e qualifiche normalmente usate per valutare le attitudini del candidato. Per rimediare sono sorti diversi progetti, finanziati da fondi governativi, oppure da organizzazioni no profit, per aiutarli a superare queste barriere, fornendo corsi di formazione, o seguendoli nella preparazione del curriculum o dei colloqui. Poi ci sono programmi che favoriscono l’inserimento dei haredim nelle università, per studiare legge, economia, ingegneria…
L’obiettivo fissato lo scorso anno dal governo è quello di arrivare a un livello complessivo di occupazione nella popolazione haredi pari al 63 per cento entro il 2020. E le donne possono in questo senso giocare un ruolo importante, oltre gli stereotipi. Perché la società israeliana chiede un cambiamento. E forse questa richiesta di cambiamento non è estranea anche ad ampi settori dell’ebraismo haredi.
r.t. twitter @rtercatinmoked – Pagine Ebraiche, gennaio 2014
(26 dicembre 2013)