La deriva turca
Quanto sta accadendo in Turchia è molto preoccupante. Per l’Italia e, ancor più, per Israele. Il combinato di vari fattori rischia di rendere la situazione esplosiva: la svalutazione della moneta con i conseguenti danni per l’economia; il rallentamento brusco della crescita del Pil; le tensioni sociali fortissime emerse già nel 2013; la difficoltà a proseguire i negoziati per l’adesione all’Unione Europea; la credibilità della classe politica resa più scarsa da scandali e corruzione, a partire dai fatti che hanno coinvolto il governo e il partito di maggioranza AKP.
Tutto ciò configura un primo rischio evidente, ovvero la radicalizzazione del governo guidato da Erdogan in senso autoritario all’interno e aggressivo in politica estera. E qui si aggiunge un secondo problema: l’instabilità complessiva del mondo arabo e del Medio Oriente potrebbe travolgere la Turchia, storico baricentro della politica occidentale nel Mediterraneo. La crisi siriana, drammatica e senza prospettive, minaccia di infettare anche il potente vicino.
Per Israele i rischi sono militari e strategici, per l’Italia soprattutto economici, visto che molte aziende hanno proficuamente investito in Turchia negli anni scorsi. Quello che possiamo auspicare è che i due paesi riescano a orientarsi nel marasma che sono diventati Mediterraneo, Nord Africa e area del Golfo. La situazione è in continua evoluzione, i rischi altissimi e le garanzie scarse. Ma la politica si fa nel mondo reale, che non è certo il migliore possibile: per compiere qualsiasi scelta, si comincia scegliendo i propri interlocutori, non gli interlocutori ideali ma i più affidabili tra quelli che ci sono.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas twitter @tobiazevi
(28 gennaio 2014)