Dopo Shimon, un nuovo volto per Israele
Per qualche tempo le indiscrezioni si sono rincorse. Sarebbe stato Shimon Peres disponibile a prolungare la sua presidenza dopo la scadenza del mandato? Sarebbero esistiti i presupposti per riformare la legge vigente nel senso di consentirlo? Poi l’ipotesi è tramontata. A 90 anni, il capo di Stato più anziano del mondo ha chiarito che non poteva accadere. E così, la corsa al nuovo presidente dello Stato d’Israele (il mandato di Peres terminerà nel luglio 2014) è stata ufficialmente aperta. Il voto si terrà non meno di trenta e non oltre novanta giorni prima: la data esatta sarà fissata dallo speaker della Knesset Yuli Edelstein non più tre settimane prima della consultazione, che avverrà in Parlamento a scrutinio segreto. Potrà presentarsi chi sarà in grado di ottenere la firma di almeno dieci deputati. E il confronto sui nomi è già partito. Tra i primi a proporsi, il Premio Nobel per la Chimica 2011 Dan Shechtman (73 anni) che ha iniziato la sua campagna incontrando gli esponenti del partito centrista Yesh Atid e il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman. “Penso di poter fare cose buone per questo paese, come già mi sto impegnando a fare in diversi settori, specialmente quello educativo e dell’imprenditoria tecnologica” ha dichiarato il professore, che promette imparzialità e approccio scientifico come soluzione per risolvere le complesse impasse politiche in cui Israele spesso si trova. Tra i nomi più in vista è anche quello del presidente dell’Agenzia ebraica Natan Sharansky (66 anni). Noto in tutto il mondo per la sua lotta in favore dei diritti umani nell’Unione sovietica, dove fu imprigionato per anni nei gulag in seguito alla sua richiesta di emigrare in Israele, Sharansky fu finalmente liberato nel 1986. Ha servito come parlamentare e ministro del Likud. “Figura integerrima e libero pensatore” lo descrive il direttore del Times of Israel Daniel Horovitz, che lo definisce pure il candidato preferito dal premier Benjamin Netanyahu “che però potrebbe scegliere di non prendere posizione”. Sconfitto sette anni fa da Peres, tornerà probabilmente a candidarsi il parlamentare del Likud Reuven Rivlin (75 anni), già presidente della Knesset nella precedente legislatura e non riconfermato la scorsa primavera in seguito a dissapori con il primo ministro (e in particolare, secondo indiscrezioni, con la first lady Sara). Politico di lungo corso, lato laburista, è anche Binyamin “Fuad” Ben-Eliezer (77 anni), già titolare di diversi ministeri tra cui la Difesa nel governo di unità nazionale nel 2001. Circolano poi voci sull’attuale ministro dell’Energia Silvan Shalom, sul parlamentare di Hatnua (nonché ex Kadima e prima ancora ex Likud) Meir Sheetrit, che fu tra l’altro anche ministro della Giustizia, e su Dalia Itzik (61 anni), che già servì come presidente d’Israele per alcuni mesi dopo le dimissioni di Moshe Katsav in quanto speaker della Knesset in carica (per Kadima, cui era approdata dal partito laburista). Ancora, a sondare il terreno per entrare in corsa è anche Adina Bar-Shalom, la maggiore delle figlie del recentemente scomparso rav Ovadia Yosef, leader spirituale e politico dell’ebraismo sefardita, nonché pioniera dell’educazione delle ragazze harediot. E un’altra donna ha annunciato ufficialmente di essere interessata a succedere a Shimon Peres: l’ex presidente della Corte suprema Dalia Dorner (80 anni). Intanto sui giornali israeliani già compaiono i primi sondaggi. A riscuotere maggiore successo tra il pubblico sono in queste prime fasi Rivlin e Shechtman. Ma se viene inserita l’opzione, gli israeliani sembrano non avere dubbi. Se dipendesse da loro, il nuovo presidente non sarebbe altri che lo stesso Shimon Peres. Ciò che in fondo non stupisce, se si pensa al ruolo che in questi anni ha svolto, assumendo la carica in un momento difficile, dopo che i suoi predecessori Katsav e Ezer Weizman si erano dimessi, indagato per violenza sessuale il primo e per abusi finanziari il secondo. Pur rivestendo esclusivamente poteri di rappresentanza, il presidente infatti può diventare, come ha dimostrato Peres, il volto d’Israele nel mondo. Oltre al fatto che è lui a essere chiamato ad assegnare l’incarico di formare il governo, ruolo non da poco in un paese con un sistema elettorale proporzionale puro. Per chi verrà eletto a luglio in ogni caso un compito arduo da assolvere: essere all’altezza di un uomo che ha combattuto la Guerra d’Indipendenza e ha vissuto intensamente ogni singolo istante della storia della nazione. Per convincere gli israeliani che si può guardare avanti, salutando l’impegno politico della generazione dei Padri.
r.t., Pagine Ebraiche, marzo 2014
Adina, l’importanza di chiamarsi Yosef
Tra i nomi che circolano per la successione di Shimon Peres alla presidenza dello Stato d’Israele, quello che ha suscitato più scalpore è senz’altro il suo: Adina Bar- Shalom, nata Adina Yosef, ossia la primogenita del recentemente scomparso rav Ovadia Yosef, punto di riferimento spirituale dell’ebraismo sefardita nel paese e nel resto del mondo. Le prime indiscrezioni di stampa rivelavano che Bar-Shalom stava cominciando a sottoporre l’idea agli esponenti del partito sefardita haredi Shas. Una notizia non da poco considerando che la formazione non ha mai candidato donne neppure per un seggio in Parlamento. Ad aiutarla in questa prospettiva, c’è senz’altro il fatto di essere figlia di suo padre, che continua a essere amato e venerato (il suo funerale raccolse oltre 800mila persone, una folla oceanica). Ma non scherzano neanche le qualità personali di Adina, che a 17 anni si sposò senza avere la possibilità di perseguire il suo sogno di studiare psicologia (il padre e il marito erano contrari), ma che ha saputo diventare molti anni dopo una pioniera dell’educazione delle ragazze harediot, fondando per loro nel 2000 un college a Gerusalemme che consentisse di dedicarsi agli studi secolari senza per questo tradire il proprio stile di vita. Un istituto che è cresciuto sotto la benedizione dello stesso rav Yosef e oggi conta mille studenti (da poco aperto anche agli uomini), imitato da molte altre iniziative nel paese. Un esempio che la figlia di rav Yosef spiega come possa essere applicato anche al caso dell’arruolamento dei giovani haredim, purché garantendo loro delle condizioni adeguate (come consentire di prolungare gli studi in yeshivah fino ai 22 anni e di sposarsi prima di essere chiamati per la leva). “Chi ha una forte identità religiosa non la perderà certo per colpa dell’esercito” ha sottolineato Bar-Shalom in un’intervista all’americano Forward, ammettendo per la prima volta pubblicamente di stare considerando l’ipotesi di candidarsi per la presidenza. Il giornale ebraico newyorkese mette tra l’altro in risalto la sua posizione favorevole ai negoziati con i palestinesi e nei confronti del presidente Abu Mazen. “È proibito santificare la terra più delle persone” ha ricordato la figlia di rav Yosef, minimizzando le posizioni talora molto dure assunte dal padre in questa prospettiva. Prima di prendere una decisione definitiva sulla sua candidatura, Bar Shalom spiega di voler vedere chi altro correrà. Se dovesse essere scelta sarebbe il primo esponente del mondo haredi a diventare presidente d’Israele, e anche la prima donna (mentre un’altra donna, l’ex presidente della Corte suprema Dalia Dorner ha annunciato di volersi candidare, se non per venire eletta, proprio per aprire la strada ad altri candidati rosa in futuro). Certo, a sfavore di Adina giocano diversi fattori, tra cui, soprattutto, la completa inesperienza politica. E tuttavia, almeno su un punto di forza potrà senz’altro contare: la capacità di porsi come un ponte tra anime e mondi diversi. Una qualità di cui in Israele c’è sempre estremo bisogno.
Pagine Ebraiche, marzo 2014
(25 febbraio 2014)