Israele – La commedia dei numeri inventati e la piazza manovrata dai partiti

dellapergolaOggi spero molto che la stampa ebraica in Italia non vorrà cascare nella trappola di un meccanismo, sostantivamente secondario ma molto importante nella politica mediatica: quello dei finti numeri. La grande dimostrazione del pubblico haredi non può essere “la dimostrazione del milione”, semplicemente perché non esiste in Israele un milione di haredim, nemmeno includendo donne, vecchi e neonati, così come mai ci furono in passato i 400.000 dimostranti per l’uscita di Israele dal Libano, o gli 800.000 al funerale di Rav Ovadia Yosef. Queste cifre inventate ma di grande effetto pubblicitario vogliono solamente farci sapere da parte degli organizzatori delle grandi dimostrazioni che “tutto il pubblico è con noi”, “il nostro messaggio è largamente condiviso”, dunque “il nostro messaggio è giusto”, e pertanto “bisogna assolutamente tenerne conto”. I temi sollevati in queste diverse dimostrazioni di massa sono indubbiamente di grande rilievo pubblico e certamente non possono essere ignorati, in primo luogo dal governo di fronte al quale primariamente queste dimostrazioni vengono inscenate. Ma va anche ben compresa l’unilateralità del messaggio, e vanno attentamente valutate le conseguenze civili di manifestazioni il cui obiettivo principale è quello di sormontare i procedimenti democraticamente stabiliti attraverso il parlamento, l’esecutivo, e il giudiziario. 
Nella fattispecie della proposta (tuttora allo studio, non ancora trasformata in legge operante) di allargare il servizio militare a una parte (solamente) dei giovani haredim, il parlamento vuole stabilire un principio di condivisione della responsabilità da parte dei cittadini nei confronti dell’esistenza dello stato d’Israele, principio che finora non è stato applicato. Non è stato applicato ai haredim, come fino ad oggi non lo è stato nei confronti dei giovani cittadini israeliani di etnia araba. Quello che è in gioco, primariamente attraverso il servizio obbligatorio, è il principio di solidarietà e di cittadinanza condivisa, qualunque siano le ragioni, anche ben comprensibili e in parte difendibili, di chi richiede particolari privilegi ed esenzioni. Il principio della sanzione a carico di chi è renitente alla leva è già oggi applicato a tutti i cittadini, e pertanto può essere applicato anche ai haredim. Il sistema scolastico del settore haredi in Israele è largamente finanziato dallo stato. Lo stato ha quindi pieno diritto di chiedere che i haredim che in quanto cittadini giustamente beneficiano di sostegno alla loro istruzione, condividano con tutti gli altri cittadini l’onere del mantenimento della società collettiva. Questo onere si manifesta in due aspetti fino ad oggi in gran parte elusi. 
Il primo aspetto è quello di un’autosufficienza economica che si acquisisce primariamente attraverso un’istruzione che dia accesso al mondo del lavoro e del reddito. Oggi in realtà la partecipazione di haredim alla forza di lavoro (seppure in aumento) è ancora molto inferiore alla media nazionale, con un conseguente basso livello di redditi e la necessità di maggiori sussidi da parte della previdenza sociale statale finalizzata a ridurre la povertà. Il concetto di povertà, beninteso, è un concetto relativo. Non c’è fame, il minimo necessario arriva a tutti attraverso una rete capillare di organizzazioni pubbliche e private di aiuto mutuo, di gruppi di acquisto a prezzo fortemente scontato, di alloggio ampiamente sotto costo. Certo la ricchezza è limitata a pochi, e ci sono pochi sprechi perché c’è ben poco da sprecare. La crescita demografica del settore, se da un lato può essere fonte di soddisfazione interna, crea un crescente problema perché in prospettiva porta allo squilibrio e al collasso del sistema previdenziale, laddove non vi sia una maggiore autonomia economica da parte del settore stesso. 
Il secondo aspetto è quello del servizio obbligatorio a beneficio del collettivo. I haredim in gran parte hanno rifiutato fino ad oggi non solamente il servizio militare ma anche il servizio civile che potrebbe bene espletarsi all’interno delle loro stesse comunità. Ne emerge una implicita se non esplicita dichiarazione di non appartenenza al collettivo israeliano, e poiché Israele si propone come lo stato del popolo ebraico, in definitiva ne emerge una non solidarietà con il resto del popolo ebraico. È una non solidarietà che viene giustificata con il proprio impegno superiore nel campo degli studi ebraici, ma che comunque va contro lo spirito del valore ebraico fondamentale di Klal Israel, la comunione dei destini di tutti gli ebrei, buoni e cattivi che siano. In cima a tutto questo sta la cinica e demagogica dichiarazione di coloro che hanno detto che se le loro esigenze non saranno accettate, emigreranno da Israele. Emigrino pure, e ci scrivano poi dalle loro nuove residenze se il governo dei loro nuovi paesi di adozione è altrettanto attento alle loro esigenze come lo è fino ad oggi il governo di Israele, se paga integralmente per la loro istruzione, e se li esenta dal servizio militare.
Nella commedia dei numeri inventati gioca un ruolo primario la demagogia dei quadri di partito e di una certa parte del rabbinato. È ben chiaro a tutti che il pubblico haredi alla base è molto più disponibile a partecipare e a fare sacrifici nell’interesse dell’intera popolazione di Israele, di quanto non lo siano i leaders di partito (oltre a tutto oggi all’opposizione). È facile scherzare cinicamente e dire a Netanyahu: assegna un paio di ministeri, coi relativi fondi e posti di direttore generale e capodivisione, ai partiti haredim, e la grande dimostrazione si fermerà alle soglie di Gerusalemme. Se il complesso e sia pur precario consenso che caratterizza la convivenza fra i vari gruppi costitutivi della società israeliana è come un prezioso vaso, è facile scagliarlo a terra e romperlo in mille pezzi. È molto più difficile dopo ricomporre i cocci. E comunque sia, ancora una giornata di lavoro perduta a causa della paralisi della città. Tanto poi qualcuno paga.

Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme

(2 marzo 2014)