Israele – Netanyahu e i problemi di Washington

obamanetanyahuGerusalemme si appresta ad accogliere migliaia di ultraortodossi da tutta Israele, arrivati nella Capitale per protestare contro la norma che allargherebbe l’obbligo di leva agli studenti delle yeshivot. La manifestazione, indetta dai consigli rabbinici di Degel HaTorah, Agudat Yisrael e Shas, i tre principali movimenti haredim israeliani, inizierà questo pomeriggio, bloccando di fatto la città. Muro contro muro, la scelta dei vertici del mondo haredi che non sembrano disponibili al dialogo con il governo di Benjamin Netanyahu. Preoccupazione in più, dunque, per il primo ministro israeliano, partito per Washington con un bagaglio di questioni già molto pesante. Netanyahu domani incontrerà il presidente degli Stati Uniti Barack Obama e sul tavolo ci saranno temi fondamentali per Israele: il piano per il proseguo dei negoziati di pace con i palestinesi e la richiesta di sanzioni all’Iran. Bibi non ha mai nascosto la sua diffidenza nei confronti del presidente iraniano Hassan Rouhani, non crede al nuovo volto di Teheran e vorrebbe il pugno duro americano nei confronti di uno dei nemici storici di Israele. Inoltre Netanyahu potrà contare sull’appoggio dell’American Israel Public Affairs Committee (Aipac), gruppo di pressione americano fortemente impegnato nel supporto a Israele, che in questi giorni si è riunito proprio all’ombra della Casa Bianca. Difficile però che dallo studio ovale venga fuori qualcosa di nuovo: Obama al momento si trova a dover affrontare un’altra crisi, che lo distoglie dalla questioni mediorientali e lo riporta a un clima da Guerra Fredda. Quelle che arrivano dall’Ucraina sono notizie nefaste, con il paese alla soglia di un conflitto con la Russia. E se il presidente russo Vladimir Putin fa la voce grossa, le parole di Netanyahu domani potrebbero arrivare all’orecchio di Obama come sospiri, distratto dalle mosse di Mosca e Kiev. Per Netanyahu, secondo alcuni commentatori, questo potrebbe essere sia un bene sia un male. Da una parte infatti, il premier Netanyahu potrebbe vedere allentata la pressione sul suo governo in merito ai negoziati. L’amministrazione americana sembra ha infatti sposato la linea di alcuni esperti secondo cui queste trattative sono l’ultimo treno che si presenta ai contendenti. Se decidessero di non salirci, gli effetti potrebbero ricadere in modo pesante su entrambe, ma in particolare su Israele. Secondo lo stesso segretario di Stat Usa Kerry, infatti, il fallimento delle trattative porterebbe alla crescita del movimento BDS, ovvero di boicottaggio anti-israeliano. Affermazione poco gradita sia all’interno della coalizione sia sul fronte, guardando all’America, dal citato Aipac. “Non si può negoziare con una pistola alla tempia” aveva affermato un ministro israeliano. Ora Kerry avrà l’opportunità di spiegarsi di fronte a chi in questi mesi non ha lesinato critiche nei suoi confronti, essendo tra gli ospiti più attesi del congresso dell’Aipac di quest’anno, che ha raggiunto la cifra record di 14mila partecipanti.

Daniel Reichel

(2 marzo 2014)