Setirot – Israele, la speranza, la paura

jesurumHo la fortuna di conoscere Bruno Segre da parecchi anni e per quel “dolce vecchio” dall’aria pacatamente solida provo stima e affetto. Le sue riflessioni, nel corso del tempo, hanno accompagnato e stimolato una piccola (?) parte dell’ebraismo italiano; si può condividerle o meno, certamente non si possono ignorare. Ammetto che Bruno mi abbia affascinato anche per quell’aria da intellettuale-profeta “nato” nel Movimento Comunità fondato da Adriano Olivetti. Fatto sta che con grande interesse sto leggendo (e in certi casi rileggendo) alcuni suoi scritti raccolti oggi in un volume pubblicato da Wingsbert House.
«Erano profonde le emozioni che HaTikvah (La Speranza), l’inno del movimento sionista divenuto più tardi l’inno nazionale israeliano, suscitava in me da ragazzo. Ricordo, peraltro, che nell’ascoltarlo trovavo bizzarro, quasi inspiegabile il contrasto tra il messaggio forte e felice del testo (“non è ancora persa la nostra speranza, la speranza due volte millenaria, di essere un popolo libero nella nostra terra, la terra di Sion e Gerusalemme”) e le suggestioni malinconiche, dolenti, afflitte della musica, armonizzata in modalità minore (…) Poi, nei decenni successivi, mentre seguivo con partecipazione le vicende politiche e culturali di Israele e del Medio Oriente, mi sono reso conto che nella cultura politica coagulatasi attorno al progetto sionista erano presenti ab origine, e ancora oggi continuano a fronteggiarsi, due linee di pensiero e di azione ben distinte. Una di esse fa leva prevalentemente sulla speranza, l’altra sulla paura. E date le circostanze difficilissime in cui lo Stato d’Israele nacque ed è vissuto per oltre sessant’anni, entrambe tali tendenze presentano più d’una plausibile giustificazione, avendo ciascuna al proprio attivo realizzazioni e sconfitte».
Quale dunque miglior titolo se non “Israele, la speranza, la paura”?

Stefano Jesurum, giornalista

(6 marzo 2014)