Il gran racconto di Laura Orvieto
Gli eroi e gli dei dell’antichità sotto un’altra veste: non quella appassionata che li ha fatti assurgere a simboli di civiltà oggi scomparse ma quella senz’altro più spensierata e divertente della loro fanciullezza raccontata con la sensibilità, con il garbo e con lo spirito proprio di una delle più grandi scrittrici per l’infanzia di sempre, l’ebrea milanese Laura Cantoni Orvieto (1876-1953), autrice – oltre che di Storie della storia del mondo, il suo libro più noto – anche di Storie di bambini molto antichi, scritto alla vigilia dell’emanazione delle Leggi Razziste del 1938 e oggi ristampato dalla Mondadori. “Questo bambino, che si chiamava Efesto e anche Vulcano, è proprio antichissimo. Tanto, che nessuno l’ha mai conosciuto. Ma anche senza averlo visto tutti sanno che era molto brutto. Proprio un mostricino; e quando, appena nato, lo portarono a vedere a sua madre, lei andò su tutte le furie. ‘Questo non può essere il mio bambino’ gridò Hera indignata. Quella mamma era grande e maestosa, regina e dea, moglie di un gran re e dio, ammirata e adorata e festeggiata e bellissima (anzi, lei si riteneva la più bella del mondo), e pensare che quel bambino così piccolo e stento fosse suo figlio le faceva orrore”. Questo l’incipit dell’opera, la cui distribuzione fu immediatamente bloccata a seguito dei provvedimenti varati dal fascismo che privarono gli ebrei italiani dei diritti più elementari, compreso quello di diffondere cultura e formare le nuove generazioni. A distanza di oltre 75 anni da quel momento, preambolo dell’entrata in guerra dell’Italia al fianco di Hitler e delle successive deportazioni di migliaia di ebrei verso i campi di sterminio, leggere e riscoprire questi racconti lascia un’emozione in più. Niente si evince dell’imminente tragedia, tutto sembra sospeso nella consueta bolla di dolcezza e altruismo proprio dell’animo della Orvieto. Il primo pensiero sono i bambini, uno slancio maturato nell’infanzia e concretizzatosi, sotto forma di racconto scritto, grazie al sostegno del marito Angiolo, intellettuale e poeta che avrebbe dato un contributo decisivo al panorama culturale fiorentino del primo Novecento fondando, tra le altre, la rivista d’elite Il Marzocco, punto di riferimento per le grandi firme della letteratura contemporanea e in cui la stessa Laura trovo più volte ospitalità. In un primo momento con riassunti di saggi editi sulla stampa scientifica o straniera, quindi con veri e propri articoli e dibattiti che la videro a confronto con altre scrittrici e collaboratrici di fama come Sibilia Aleramo o Amelia Pincherle Rosselli.
Il panteon di Storie di bambini molto antichi è vasto e composito. Compare infatti una bambina di nome Ebe, che ama danzare sui prati mentre dovrebbe fare la guardia alla preziosa ambrosia, e ancora un bambino chiamato Perseo, abbandonato su una barca senza vele e senza remi, che taglia la testa all’orribile Medusa. Si diventa inoltre amici di Proserpina, costretta a scendere negli Inferi oscuri, e del piccolo Zeus, che ingaggia una lotta terribile con il padre Saturno, e che su di lui avrà la meglio. Spazio dunque alla fantasia e alla parodia con l’obiettivo, attraverso questo esercizio di lettura, di stimolare nei giovanissimi un primo fondamentale interesse attorno ai miti della classicità verso cui la società italiana ed europea non potevano che essere debitrici per l’immenso patrimonio culturale ereditato attraverso i secoli.
Formazione, giovani, affrancamento dall’ignoranza e dall’analfabetismo. Un impegno in cui Orvieto ha sempre creduto pur costretta ad affrontare numerosi ostacoli. Ha scritto Caterina Del Vivo, archivista del Gabinetto Vieusseux di Firenze che ha attinto dal vastissimo Fondo Orvieto in dotazione a Palazzo Strozzi (circa 50mila documenti cartacei) per inaugurare una nuova stagione interpretativa dell’attività letteraria della scrittrice: “La passione per i libri e la fantasia la portavano a calarsi nelle vicende delle sue letture. Così, dopo aver conosciuto Dickens, si era riproposta di essere utile ai bambini meno fortunati e di collaborare con la maestra Rosa Errera (1864-1946) nei doposcuola Scuola e famiglia, sorti a Milano per aiutare i figli dei lavoratori. Ma i genitori la ostacolavano. Così Laura si consolava narrando ai cuginetti storie che riproponevano, in termini semplici e diretti, la rielaborazione di antiche leggende”. Anche le opere successive manterranno questo carattere di oralità narrativa inserendo in una cornice quotidiana, rappresentata dalla madre e dai piccoli Leo e Lia, storie della mitologia e delle tradizioni popolari che più amava. E se è ovvio il legame dell’autrice con la romanità e grecità antica, sicuramente meno evidente è il rapporto con le proprie origini ebraiche. Una riscoperta che è merito di un lungo lavoro di ricerca della stessa Del Vivo, sviluppato in particolare con la pubblicazione dell’autobiografia inedita Storia di Angiolo e Laura composta negli anni della legislazione antiebraica e pubblicato da Olschki nel 2001. Il libro affronta infatti il tema dell’ebraismo da un duplice punto di vista: come elemento formativo e culturale della famiglia nel suo complesso ma anche come presa di coscienza da parte della Orvieto dell’inalienabilità della sua identità in seguito alla pubblica negazione di questa da parte del fascismo. Tra i vari elementi che caratterizzano un altro testo inedito curato dalla Del Vivo, Viaggio meraviglioso di Gianni nel mondo delle parole, emerge inoltre il costante richiamo allo spirito visionario e fiabesco tipico della narrativa ebraica. E ancora, segno più tangibile e meno concettuale, la presenza nel testo di alcuni piccoli schizzi di accompagnamento chiaramente ispirati alle ketubbot, i contratti matrimoniali ebraici. “Fino a poco tempo fa – ha spiegato Del Vivo a Pagine Ebraiche – i critici letterari pensavano non ci fosse posto per una qualche forma di ispirazione ebraica nella produzione di Laura. Pareva invece che l’autrice attingesse a piene mani dall’assimilazione culturale così diffusa tra gli ebrei italiani del tempo. È un errore di valutazione che siamo riusciti a correggere”.
Adam Smulevich, Pagine Ebraiche aprile 2014
(1 aprile 2014)