È’ Israele la speranza dei dissidenti anti-Assad
“Israele è la nostra ultima speranza”. Sono le parole di Kamal Al-Labwani, dissidente siriano che lotta per porre fine al regime di Bashar Al Assad e alla carneficina di una guerra civile che prosegue dimenticata dal mondo. Labwani, che ha trascorso dieci anni nelle prigioni del dittatore, e che in gennaio si è dimesso dalla Coalizione nazionale siriana per protestare contro la scelta di partecipare alla Conferenza di pace sulla Siria di Ginevra, denuncia tutti: i paesi arabi, l’Occidente che non ha aiutato l’opposizione quando le componenti moderate avrebbero potuto fare la differenza, l’indifferenza e l’incompetenza dei rappresentanti della comunità internazionale. “Le proteste contro Assad non erano necessariamente destinate a diventare violente. Lo sono diventate solo dopo che il sistematico e brutale trattamento della popolazione civile” spiega in una approfondita intervista al Times of Israel. Dove, nello svelare molti retroscena diplomatici del conflitto in corso, rompe anche importanti tabù nei confronti dello Stato ebraico, con cui la Siria rimane da decenni formalmente in guerra.
“Non sono l’unico a parlare con gli israeliani. In questa situazione dobbiamo pensare fuori dagli schemi, dobbiamo cambiare noi stessi, e cercare aiuto”. Un aiuto, quello israeliano, che potrebbe essere cruciale. Labwani sottolinea quanto l’ospedale da campo costruito da Tzahal al confine per curare i feriti abbia rappresentato uno strumento decisivo per cominciare a cambiare l’immagine di Israele agli occhi della popolazione, ma spiega anche quanto potrebbe essere fondamentale il suo contributo in termini politici e militari. “Israele potrebbe aiutarci nel convincere la Comunità internazionale della necessità di costringere Assad ad andarsene” evidenza, sottolineando che una guerra civile che si prolunga va anche contro gli interessi dello stesso Stato ebraico “perché a venire erose sono le forze moderate, mentre si accresce il potere degli estremisti”. Labwani suggerisce poi la possibilità che Israele offra un supporto per contrastare l’azione degli elicotteri a bassa quota del regime, magari con la fornitura di un numero limitato di armi antiaeree a persone ben controllate oppure con l’istituzione di una no-fly zone nel sud della Siria.
Il dissidente, che ha chiesto asilo in Svezia e viaggia tra Turchia, Giordania ed Europa per cercare di trovare una soluzione pe ril suo popolo, punta il dito contro i rappresentanti della Comunità internazionale che se ne sono occupati finora, denunciando scarsa conoscenza e attenzione al problema, la scelta di interlocutori siriani estremisti, corrotti o poco rappresentativi, la poca solidarietà riscontrata. E promette: “Israele, se vuoi essere amico della Siria, noi siamo pronti”.
Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked
(30 aprile 2014)