…Primo maggio

Il Primo maggio per me ha due colori, il rosso e il blu. Nella mia infanzia trascorsa in un paese del Veneto, quel giorno era sempre soleggiato, venivano distribuiti spilli con nastrini rossi da appendersi alla camicia, e tutti si andava in piazza ad assistere ai comizi sindacali in un clima di festa. Noi bambini eravamo protagonisti, incaricati di appuntare quei nastrini (che poi, molti anni dopo, diventeranno più usuali come simbolo della lotta all’Aids) che stavano a indicare unità dei lavoratori e una momentanea tregua nella cronica divisione delle formazioni politiche di sinistra. Cresciuto un po’, da adolescente, fra le fila del movimento giovanile sionista socialista Hashomer Hatzaìr, gradatamente al rosso si sostituì il blu: quello delle tute dei lavoratori, quello della maglia del nostro movimento (la Chultzà Shomrìt http://hashomerhatzairmilano.com/about-us/perche-la-chultza-shomrit/ ). Ricordo un Primo maggio in Israele, doveva essere il 1983: organizzati in pullman convergono decine di migliaia di giovani con la maglia blu del movimento, tutti insieme a Tel Aviv per partecipare alla più grande (e giovane) manifestazione del 1° maggio a cui abbia mai partecipato. C’era di certo una forte componente ideologica (ereditata dal modello-partito dei movimenti socialisti europei), ma c’era anche la consapevolezza che il laburismo – l’idea cioè che il lavoro doveva stare al centro delle priorità del discorso sionista – costituisse una componente fondamentale e irrinunciabile nella costruzione del paese. C’era anche (per il mio sconcerto) una sorta di carro da carnevale da cui partiva a gran voce il jingle dello spot pubblicitario della Bank Ha Poalim, la Banca dei lavoratori, di proprietà del sindacato. Ma in quella logica – mio malgrado – la coerenza era cristallina: la banca del sindacato era costitutiva di una società che metteva al suo centro ideologico il lavoro e i lavoratori. Oggi – mentre sto scrivendo – altre migliaia di lavoratori israeliani si stanno concentrando a Tel Aviv per la tradizionale manifestazione dell’Histadrùt, la storica istituzione che ancora oggi è una delle più grandi organizzazioni sindacali dell’intero Medioriente. Ma le priorità sembrano essere diventate altre. È cambiata la società israeliana, è cambiato il sionismo, ed è mutato profondamente il mondo del lavoro e il suo significato nella costruzione della società. Personalmente (con qualche nostalgia, anche se non bisognerebbe averne) la situazione del passato mi dava più certezze. Ma capisco che la sfida odierna è quella di saper interpretare le nuove trasformazioni della società contemporanea e dare un nuovo significato a un tema – quello del lavoro – che comunque rimane centrale. Il lavoro fa muovere uomini e donne, determina le politiche dei governi, produce ricchezza e sicurezza. Forse, se ci si concentrasse più su di esso, si riuscirebbe anche a disinnescare la maggior parte delle situazioni di conflitto che da decenni insanguinano Israele e minacciano il suo futuro.

Gadi Luzzatto Voghera, storico

(2 maggio 2014)