Vendola in Israele

Alla visita in Israele ​del presidente ​della Regione Puglia,​ Nichi Vendola, ​​accompagnato dalla delegazione di SEL,​ hanno ​fatto seguito due interviste, all’Unit​à​ ​e al Manifesto, in cui Vendola ha ​espresso dei giudizi su Israele​, in linea con la consueta propaganda negativa, nei quali non vi era traccia alcuna di quanto della realtà israeliana poteva aver visto con i propri occhi. ​Pertanto, alla luce di quanto ebbe a dire nell’incontro con alcuni esponenti della comunità italiana di Gerusalemme, cui abbiamo partecipato, abbiamo scritto una lettera aperta al presidente Vendola, che l’Unità​ non ha pubblicato, in cui ​replicavamo ​punto per punto alle sue affermazioni. Durante l’incontro Vendola ha parlato di antisemitismo, di diritto alla sicurezza di Israele, di dialogo e di pace. Ma alla luce della sua intervista, ​abbiamo capito che l’equivicinanza che professa ​ ​​è una buona scusa per ignorare le ragioni israeliane, che la lotta all’antisemitismo e al razzismo sono cavalli di battaglia contro l’estrema destra ma non occasione per un’autocritica della sinistra. Vendola ha assicurato che ​è venuto in Israele per i “volti” e non per i “voti”, apparentemente lasciando la campagna elettorale per capire il conflitto. Cosa abbia capito ci rimane ancora ignoto.
Non solo Vendola non ha speso una buona parola per Israele, ma ha anche imputato tutte le colpe ai carri ​ armati israeliani. Non una parola sui missili, sui kamikaze, sul terrorismo palestinese. Gli uliveti sradicati e l’entusiasmo ​per le dichia​razioni di Abu Mazen sulla Shoah hanno fatto il resto: i poveri palestinesi sono pronti per la pace, i crudeli israeliani la sabotano ad ogni occasione. L’intervista a Sternhell sull’Unità, che sembra quasi una risposta alla nostra lettera non pubblicata, ha poi consolidato la convinzione che il problema sia il fanatismo delle frange estremiste di Giudea e Samaria. Entrambi hanno parlato di apartheid. Eppure Vendola si è seduto con ​n​oi a prendere un caffè ​nel​ centro ​di​ Gerusalemme, dove ha visto arabi ed ebrei, religiosi e laici seduti agli stessi tavoli ​,​ serviti dagli stessi camerieri.
Lo stesso giorno in cui Vendola rilasciava l’intervista, il prof. Mohammed S. Dajani dell’università palestinese di Al-Quds ​è​ intervenuto a Gerusalemme spiegando come studenti e colleghi lo considerino un traditore​ ​per aver portato un gruppo di studenti palestinesi ad Auschwitz. È questo un terreno ​propizio alla pace? Non si capisce a cosa pensi Vendola quando parla di diritto di Israele ad esistere: una gentile concessione o la comprensione che gli ebrei sono una nazione e che Israele ne rispecchia i valori e la cultura? Tutti riconoscono il diritto alla sicurezza di Israele: un’altra concessione o una convinzione ​basata su una chiara visione pratica di cosa voglia dire “sicurezza”? La formula “la vera sicurezza ​ è la pace” ​è tanto priva di significato quanto di visione pollitica, perché ostinatamente si finge di non vedere quel che ​è accaduto da Oslo in poi​ : la radicalizzazione di tre genrazioni di palestinesi educati all’odio anti-israeliano e anti-ebraico in s cu​ole, TV, radio e moschee. Il silenzio sull’incitamento all’odio finanziato da stati e movimenti europei ​è criminale tanto quanto il contenuto della propaganda che ha galvanizzato la gioventù palestinese, convinta ormai che uccidere gli ebrei e gli israeliani sia una missione per la “liberazione” della Palestina.
Chi come Vendola vuole aiutare a fare la pace dovrebbe capire che c’ è una sola soluzione: aiutare i palestinesi a costruire una democrazia, fondata sul rispetto dei diritti fondamentali e dei valori universali di libertà e giustizia. Questa ​è la lingua della pace che un giorno potremo parlare per arrivare a un accordo. Per ora possiamo solo ascoltare come ci chiamano in inglese: israeliani, ebrei o occupanti, e come ci chiamano in arabo: cancro, scimmie o porci. ​

Angela Polacco Lazar, Cecilia Nizza, Giovanni Quer

(11 maggio 2014)