…price tag
Nei giorni in cui voteremo per le elezioni europee, papa Bergoglio effettuerà la sua visita in Giordania-Palestina-Israele, pensata come ricordo del viaggio effettuato da Paolo VI nel 1964, cinquant’anni fa. Ci sono molte questioni all’ordine del giorno che verranno toccate nel corso di una visita che si preannuncia carica di aspettative: naturalmente il conflitto fra Israeliani e Palestinesi in primis, ma anche la situazione dei cristiani in Medioriente, il disastro siriano, le relazioni fra Vaticano e Israele. Com’è noto, papa Francesco si farà accompagnare dal rabbino Abraham Skorka e da Omar Abboud, due protagonisti del dialogo interreligioso che ha caratterizzato il lavoro di Bergoglio come cardinale a Buenos Aires. Non sarebbe male se il buon senso e la franchezza che hanno segnato il primo anno di questo pontificato riuscissero a far breccia nella travagliata realtà mediorientale, suggerendo alle leadership in conflitto di intraprendere un percorso maggiormente incentrato sul dialogo e sulla comprensione reciproca. Certo non ci si può aspettare che le espressioni di generico appello alla pace (che sicuramente abbonderanno) bastino da sole a cambiare il corso della storia. Per questo motivo il viaggio è guardato con simpatia, ma con un generalizzato scetticismo in relazione ai reali effetti che esso potrà avere negli equilibri della regione. Sono però anche validi i concetti espressi da Ronen Shidman in un bell’articolo sul Jerusalem Post in cui si richiama il lettore a non leggere questo viaggio nell’ottica delle immediate vicende geopolitiche, ma proiettandolo nel lungo periodo, come è corretto quando si parla di storia della Chiesa. E allora non si può non notare che in questi 50 anni è diventato usuale che un papa visiti Israele (o sinagoghe), e che esponenti del mondo ebraico facciano regolarmente visita in Vaticano. Ed è altrettanto significativo sottolineare che queste visite sono caratterizzate da profondo rispetto e da un senso di fraternità. Per questo motivo, e per far sì che questa visita possa veramente contribuire a riaprire una prospettiva di dialogo per il raggiungimento di una pace condivisa, è necessario che cresca alta la protesta – anche da queste pagine – contro l’ignobile pratica che da qualche settimana vede ignoti provocatori insozzare le porte e i muri di chiese e moschee in Israele e nei Territori con i cosiddetti “price tag”. L’ultimo che io sappia risale a venerdì 9 maggio quando i muri della Chiesa di San Giorgio a Gerusalemme sono stati imbrattati con la scritta “Price Tag, Re David è per gli ebrei, Gesù è spazzatura”. Un insulto ignobile, che se per pura sventura venisse imitato in Italia ai danni di un Beth Hakenesset creerebbe una giusta e indignata reazione. Non possiamo permettere, non possiamo permetterci, che queste cose accadano, e non possiamo rimanere silenziosi quando dei provocatori estremisti (ancorché ebrei) usano la religione per infangare il sentimento e la fede di altri. È un insulto al buon senso, è un attacco diretto al dialogo (unica via per ottenere il rispetto e per avere una prospettiva di pace), ed è anche uno sfregio all’ebraismo e alla sua civiltà. In questi casi l’espressione che mi viene in mente è solo una: non in mio nome!
Gadi Luzzatto Voghera, storico
(16 maggio 2014)