Mar Morto, luci e ombre sul Canale
“Il Mar Morto sta scomparendo. Cosa si può fare per risolvere il problema?”. È da questa prima e semplice domanda che è necessario partire per analizzare l’iniziativa annunciata congiuntamente da Israele, Giordania e Autorità palestinese per collegare il bacino più salato del mondo al Mar Rosso, in quello che qualcuno ha definito il “canale della pace”. Un progetto approvato con grande enfasi alla fine del 2013 dopo molti anni di studio, che però non convince tutti, come già aveva spiegato lo scienziato Alessandro Treves sul numero di luglio di Pagine Ebraiche. Da una parte l’accento viene posto sulla salvaguardia di un ambiente unico, quello della depressione più profonda della terra, oltre 400 metri sotto il livello del mare, sui benefici della cooperazione, sulla possibilità per i vari soggetti partner di ricevere un contributo per risolvere la questione della scarsità d’acqua, necessariamente cruciale in un’area desertica. Tuttavia c’è anche chi avanza delle perplessità. A esporre a Pagine Ebraiche i dettagli e le criticità del progetto approvato è Michael Krom, professore di Chimica marina e ambientale dell’Università di Leeds, nonché consulente di uno studio sulla fattibilità del piano commissionato dalla Banca Mondiale alla società francese Coyne e Bellier. “Oltre al fatto che il Mar Morto è inesorabilmente destinato a estinguersi se non si interviene, i presupposti da tenere in considerazione per capire l’origine dell’idea sono la disperata domanda di acqua potabile da parte della Giordania, che oltretutto è interesse strategico di Israele riuscire a soddisfare, e l’aspetto politico della rilevanza di incoraggiare la cooperazione tra i due paesi e soprattutto con l’Autorità nazionale palestinese” sottolinea il professor Krom, che poi illustra il progetto come fu presentato due anni or sono. “Si prevedeva una condotta formata da un gruppo di sei diverse tubature dalla costa orientale del Golfo di Aqaba al Mar Morto,con un impianto di desalinizzazione per ottenere acqua dolce da destinare alla Giordania, e una centrale per produrre l’elettricità necessaria a far funzionare la struttura e a coprirne almeno parzialmente i costi”. Costi senz’altro molto alti, stimati in dieci miliardi di dollari, di cui sei miliardi da recuperare proprio grazie ai proventi dell’energia e al costo in ogni caso pagato dalla Giordania per l’acqua potabile e altri quattro attraverso investimenti, e donazioni, anche partendo dall’idea di un valore non direttamente esprimibile in termini economici insito nel salvataggio del Mar Morto. Krom illustra poi le riserve dal punto di vista dei rischi per l’ambiente, a partire da quelle relative alla barriera corallina del Mar Rosso nel golfo di Aqaba, per arrivare allo scetticismo sull’idea stessa che pompare acqua in un ambiente caratterizzato da un equilibrio di sostanze chimiche così particolare rappresenti un passo sufficiente per salvaguardarlo. Tuttavia, non è neppure questo il problema principale. “Quando negli scorsi mesi è stato dato l’annuncio dell’approvazione del progetto, con la triplice firma di israeliani, giordani e palestinesi, è stata presa una decisione diversa da quella che traspariva dal messaggio inviato al pubblico – spiega Krom – L’hanno venduta bene, ma in realtà ciò che è stato stabilito non è quello che era stato presentato due anni fa”. A racchiudere tutta la differenza, semplicemente una cifra: 450 milioni di dollari, pari al budget stanziato per la realizzazione del progetto. Un numero a una distanza abissale dai dieci miliardi di dollari che sarebbero stati necessari per raggiungere gli obiettivi prefissati all’inizio. Un progetto in scala minore, che però rischia davvero di portare meno benefici rispetto invece ai possibili danni. “L’attuale piano prevede di fornire al Mar Morto solo un decimo dell’acqua di cui ci sarebbe bisogno per stabilizzarne il livello, pur minacciando comunque di compromettere i suoi delicati equilibri. Sulla carta, è stato detto che il progetto parte in tono minore proprio per comprendere l’impatto ambientale dell’opera – conclude il professor Krom – Vedremo cosa accadrà. Perché per salvare il Mar Morto, questo non può essere che un primo passo”.
Oggi il Mar morto si restringe di un metro all’anno, come risulta dalle immagini che lo ritraggono negli anni ‘70 e oggi (a destra). Sotto Michael Krom, uno dei consulenti negli studi di fattibilità commissionati dalla World Bank.
Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked
(22 maggio 2014)