Israele – La sfida di Dalia
Dalia Itzik, la prima donna a presiedere la Knesset tra il 2006 e il 2009, ha ottenuto le firme dei dieci deputati necessari per candidarsi alla presidenza dello Stato d’Israele ed entra ufficialmente nella competizione.
Nata a Gerusalemme nel 1952, Itzik ha servito in Parlamento per più di vent’anni, fino al 2006 nel partito laburista, poi fino alle elezioni del gennaio 2013 nelle file del centrista Kadima. Nel suo percorso verso la presidenza ha guadagnato il supporto di figure appartenenti a varie forze dell’arco politico, dal centro governativo di Yesh Atid, all’opposizione religiosa del partito sefardita Shas e spera di ottenere anche quello del ministro degli Esteri Avigdor Lieberman che si porterebbe dietro la sua destra laica nazionalista di Yisrael Beytenu.
Se riuscisse a vincere il consenso di Lieberman, Dalia potrebbe davvero sorprendere, come sottolinea il Jerusalem Post, e creare guai ai suoi avversari più blasonati. Per ora, ufficialmente candidati sono il predecessore e successore di Itzik alla guida della Knesset Reuven Rivlin (75 anni, Likud), poi Binyamin “Fuad” Ben-Eliezer (77 anni, Labor), Meir Sheetrit (65 anni, Hatnua), questi ultimi due già titolari di diversi ministeri nel corso degli anni.
Il presidente dello Stato d’Israele viene eletto in Parlamento a scrutinio segreto. Nel caso in cui nessun candidato ottenga la maggioranza assoluta delle preferenze (61), i due nomi più votati accedono a una sorta di ballottaggio: se Itzik avesse i numeri per arrivarci potrebbe anche spuntarla su Rivlin o Ben Eliezer, al momento dati per favoriti.
Tuttavia sono ancora molte le incognite verso l’appuntamento del 10 giugno, fissato negli scorsi giorni dal presidente della Knesset Yuli Edelstein dopo mesi di incertezza dovuti, secondo indiscrezioni giornalistiche non smentite dal diretto interessato, a una possibile volontà del premier Benjamin Netanyahu di posticipare la scelta del successore di Shimon Peres per avere la possibilità di depotenziare o eliminare una carica che, pur largamente cerimoniale, può in determinate condizioni avere un’influenza non indifferente sulle dinamiche politiche di una democrazia parlamentare ad alto tasso di frammentazione.
Se diverse figure che si sono dichiarate interessate a candidarsi devono ancora presentare le dieci firme necessarie (come lo scienziato Dan Shechtman e l’ex giudice della Corte suprema Dalia Dorner), qualcuno ha già dovuto rinunciare alla corsa: il ministro dell’Energia Silvan Shalom, secondo la stampa israeliana favorito da Netanyahu, ha annunciato che non si presenterà dopo le accuse di molestie rivoltegli da una ex dipendente e la decisione del premier di evitare l’endorsement.
Il fattore Netanyahu potrebbe pure essere decisivo: il primo ministro è da tempo ai ferri corti con Rivlin nonostante la comune appartenenza politica e sarebbe incline a non sostenere nessuno apertamente. Ma, che decida di renderla pubblica o meno, la sua preferenza, c’è da scommetterci, avrà un impatto importante.
Le candidature si chiuderanno ufficialmente il 27 maggio. Poi ci saranno due settimane di tempo prima del voto. Un voto che, comunque vada, segnerà una tappa essenziale per il futuro di Israele, che, per inciso, non ha mai avuto un presidente donna.
Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked
(23 maggio 2014)