Ebraismo “ragionevole”
C’è un giornalista italiano che ha scritto un libro significativo sul rapporto fra gli intellettuali e Israele. Un libro da leggere, da discutere, con il quale fare i conti. E c’è un giornalista italiano che ha scritto un libro disastroso sul rapporto fra gli intellettuali e Israele. Un libro avvelenato, distorto, malato. E l’autore è lo stesso, il libro il medesimo. In una stagione che cede più volentieri il passo agli schieramenti viscerali, alla rissa da cortile, al tifo da stadio, alla demenza digitale, chi sposa acriticamente le ragioni di “Ebrei contro Israele” di Giulio Meotti corre il rischio di attirarsi parecchie critiche e chi le rigetta corre il rischio di farsi molti nemici. Ma chi volesse davvero andare a caccia di guai, per scontentare tutti dovrebbe permettersi il lusso di cercare un equilibrio nel giudizio, evitando le scomuniche e le acritiche partigianerie, riconoscendo al libro di Meotti il grande merito di porre in evidenza un problema vero, ma anche l’enorme responsabilità di misconoscere e di tradire l’anima di Israele. “Ebrei contro Israele” è un pamphlet scomodo che lascerà il segno. Un polverone di polemiche l’ha già sollevato, se non altro perché gli ebrei amano beccarsi impietosamente fra di loro, ma non è frequente che un non ebreo si metta a stilare una lista nera della migliore intellighenzia di Israele e della Diaspora per catalogarne le più assurde derive antisioniste e autolesioniste. C’è così chi, infastidito, vorrebbe mettere all’indice lo scomodo libro di Meotti scomunicandone l’autore. Questo pamphlet, si dice, assomiglia tanto, forse troppo, ad analogo libretto partorito in ambienti statunitensi della hasbarà ultraconservatrice che nel mondo anglosassone ha riscosso un credito pari a zero (“Israel Jewish Defamers”, Camera Conference). Meotti stesso, si ricorda, fu dettagliatamente e documentatamente accusato di diversi plagi, quindi escluso dalla cerchia dei collaboratori della prestigiosa rivista neocon statunitense Commentary e da altre pubblicazioni di rilievo. Persino il sito “Informazione corretta” si è recentemente arreso, avvertendo i propri lettori che di lui non avrebbero più sentito parlare. Per una caccia alle streghe ci sarebbero argomenti da vendere. Ma è di questo che abbiamo bisogno? Se si dovesse passare al setaccio con questo metro di misura e con questa severità la categoria dei giornalisti italiani, ci resterebbero da leggere solo l’orario ferroviario e rari oroscopi. Piaccia o meno, invece, “Ebrei contro Israele” un contenuto ce l’ha, ed è per questo che deve essere giudicato, tenendosi bene al riparo dalla tentazione di moraleggiare sui comportamenti del suo autore. Che sia tutta farina del suo sacco o la foga del copiaincolla, resta il fatto che con l’ansia di denunciare quella patologia ebraica di criticare talvolta anche se stessi e non sempre solo gli altri, Meotti non fa sconti a nessuno. A cominciare da Primo Levi, impietosamente messo alla berlina per il suo appello del 1982 “Perché Israele si ritiri” a seguito dei massacri nei campi palestinesi del Libano. Tutti vedono oggi con chiarezza come in quei tragici mesi di lacerazioni ebraiche e deliri antisemiti i progressisti e i benintenzionati aprirono la via a un gravissimo rigurgito di odio e di antisemitismo, a un clima che sfociò all’inizio dell’autunno nel terribile attentato alla sinagoga di Roma che causò la morte di un bambino di due anni. Eppure a guardare meglio anche chi volesse giudicare con il senno di poi e dichiarasse di non voler fare sconti a nessuno, qualche sconticino agli amici poi lo fa. Di 1500 firmatari dell’appello di allora, una vera e propria corsa per iscriversi sul registro dei buoni, Meotti ricorda al lettore solo sei nomi. E gli altri 1494 illustri firmatari? Li tace per pudore? Oppure perché citarli significherebbe portare alla luce le legittime contraddizioni di chi, maturando negli anni, si è trasformato in un fidato amico della destra sionista? Se al lettore si dovesse rinfrescare la memoria, come potrebbe Meotti continuare a infangare chi fra i firmatari di allora oggi non può più né difendersi né giustificarsi e a qualificare con ammirazione altri fra gli entusiasti firmatari: “una delle poche voci ragionevoli dell’ebraismo italiano”, “durissimo saggista e accademico”. Fra gli eroi di Meotti appare persino chi, non pago allora dell’appello di Primo Levi, ne aggiungeva altri per revocare il Nobel a Menachem Begin. E con quale metro di misura l’autore decide allora chi è “ragionevole”? In uno dei suoi scritti più recenti (pubblicato dal canale informativo legato al movimento dei coloni israeliani) Meotti così descrive la più alta carica dello Stato di Israele e uno dei padri del sionismo contemporaneo: “Shimon Peres è personalmente responsabile delle centinaia di morti di civili israeliani dal 2000 al 2006”, “Ha consentito la crescita della potenza militare degli arabi perché facessero guerra agli ebrei”, “Ha favorito l’odio, la morte e il terrore”, “Ha avuto una sola missione specifica: stabilire uno stato terrorista dell’Olp per compiacere l’Occidente che odia gli ebrei e 1,3 miliardi di musulmani determinati a sterminare i sei milioni di abitanti dello stato ebraico”. Israele è la più grande delle democrazie ed è possibile che offese altrove considerate reato da Corte d’assise siano tollerate. Ma vista la loro sinistra assonanza alla campagna d’odio che portò all’assassinio di Yitzhak Rabin, dobbiamo per questo anche considerarle “ragionevoli”? E dopo esserci sgolati per spiegare a tutto il mondo che di Shoah ce n’è una sola, dobbiamo considerare “ragionevole” la foga di Meotti nel vedere una nuova Shoah anche nel terrorismo arabo (“A New Shoah: The Untold Story of Israel’s Victims of Terrorism”, Encounter Books)? E, chi più ne ha più ne metta, ancora un’altra Shoah persino nel declino del tasso demografico ebraico (Il Foglio, 10 aprile 2014)? Se la Shoah non è più una sola, quante diverse ce ne sarebbero, nel catalogo del severo censore degli “ebrei che odiano Israele”? La realtà che Meotti ignora è che il comune cittadino israeliano, quello sì generalmente ragionevole, meriterebbe ben altro rispetto. Perché soffre nel pagare le tasse e vedere poi finanziati dallo Stato con i propri soldi la produzione di film parossisticamente ipercritici, soffre nel vedere riconosciuto all’estero il prestigio di intellettuali concittadini che esprimono talvolta opinioni pazzesche e sballate. Ma in genere soffre in silenzio e soprattutto si guarda bene dal compilare liste nere. Tollerare l’intelligenza e la creatività (e gli eccessi che in questo campo talvolta il mondo ebraico produce), non deriva da un’adesione ideologica a quelle follie, ma dalla consapevolezza plurimillenaria che la più totale libertà d’espressione e di ricerca sono un prezzo necessario da pagare per un piccolo mondo la cui unica efficace arma di difesa resta il risveglio e l’assidua pratica dell’intelligenza.
Guido Vitale, da Pagine Ebraiche giugno 2014
(1 giugno 2014)