“Being Rutu Modan” – Israele, giorno zero
La troupe guidata da Giovanni Russo, coordinatore di Lucca Comics, è arrivata in Israele e ha iniziato le riprese con Rutu Modan, autrice di graphic novel e illustratrice israeliana che sarà protagonista della mostra che il più grande festival italiano dedicato al fumetto organizza ogni edizione in onore dell’artista che ha vinto il Gran Guinigi – il premio massimo – l’anno precedente. Giovanni Russo ogni giorno scriverà per Pagine Ebraiche 24 una cronaca dal backstage. Oggi la prima puntata.
Israele, giorno 0
Dopo un viaggio della speranza durato trenta ore (partivo dalla Francia), mille chilometri in auto, duemilacinquecento in aereo, i severi controlli in ingresso complicati dalle pratiche doganali per l’importazione temporanea dell’attrezzatura per le riprese, un bagaglio perso con parte della suddetta attrezzatura, sono finalmente giunto in Israele. Sono qui per girare un documentario su Rutu Modan, autrice di graphic novel di fama internazionale. Il documentario fa parte di un progetto espositivo più ampio a lei dedicato, da tenersi nell’ambito della prossima Lucca Comics & Games.
Il problema di un’esposizione dedicata a Rutu è che lei lavora solo in digitale, per cui non esistono disegni originali da esporre. Come si affrontano situazioni del genere? La risposta generale è che, se non si può lavorare sull’opera, si lavora sull’autore. La risposta particolare è meno semplice e può variare caso per caso.
Nel caso di Rutu il progetto espositivo è incentrato sul tema dell’identità, personale e collettiva, che a sua volta è al centro della sua opera. E se questo è il taglio, il documentario diventa uno strumento quasi indispensabile per entrare nel mondo di Rutu, per comprendere dall’interno le ragioni di una poetica. L’esplorazione dell’identità di Rutu, in quanto persona e artista, diventa necessariamente anche un’esplorazione dell’identità ebraica.
Il tema dell’identità mi interessa molto, a partire dalle continue riflessioni sulla mia identità personale. L’identità è quella serie di caratteri fisici, personali, sociali, culturali, che presi nel loro insieme costituiscono l’immagine che abbiamo di noi stessi. È un concetto a più strati, come una cipolla. C’è la mia identità strettamente personale, che qui e ora corrisponde al mio aspetto fisico attuale, alla mia età, alla storia personalissima che dalla nascita mi ha portato fin qui – le persone che ho incontrato, le cose che ho visto, le esperienze che ho vissuto; tutte cose che magari ho condiviso con altri, ma che nel loro insieme sono solo ed esclusivamente mie. Poi ci sono tutti gli altri strati, quelli che condividiamo con comunità via via più allargate, che proprio su di essi trovano la loro definizione.
Anche l’identità ebraica mi intriga molto. A Lucca non c’è una comunità ebraica organizzata, e non ho nessuno di quella comunità fra le mie conoscenze più strette, per cui parto armato solo da una forte curiosità e da assunzioni pronte ad essere smentite. Riflettendo sulla storia millenaria del popolo ebraico, mi riesce difficile pensare a un popolo dall’identità più forte. L’elemento peculiare mi pare la fusione fra l’aspetto etnico e quello religioso, riassunta efficacemente nel concetto di “popolo eletto”, che non mi risulta abbia analoghi al mondo. È un nesso che, da europeo razionalista che considera l’identità più un processo in divenire che non un dato di tradizione, mi appare insieme sfidante e vagamente pre-moderno. Quando i Romani invadevano un nuovo territorio lasciavano liberi i popoli sottomessi di praticare i culti locali, con l’unica eccezione che si riconoscesse la religione civile di Roma. Un compromesso accettabile per molti ma non per il popolo ebraico, che infatti nella sua storia è stato disperso e spesso perseguitato, e tuttavia è sempre rimasto fedele alla propria identità. Trovo tutto ciò ammirevole all’estremo, ma d’altro canto mi chiedo quanto sia semplice portare sulle spalle il peso di una simile tradizione. Se è vero che ognuno di noi porta con sé la sua identità così come fanno i viaggiatori con i loro bagagli, allora il popolo ebraico mi appare carico di un fardello quasi soverchiante, capace di condizionare ogni aspetto dell’esistenza. Mi chiedo come sia, specie per un artista, il confrontarsi con un’identità così forte.
Se penso al solo fumetto, mi vengono in mente molti grandi autori (Will Eisner, Art Spiegelman, la stessa Rutu) che hanno messo al centro delle loro opere più personali proprio l’identità ebraica, come se essa fosse per loro un tema effettivamente imprescindibile. Dall’altra, il peso di una tale incombente identità mi pare appaia proprio in un racconto di Rutu, incentrato su un musicista frustrato che non ama la scena musicale Israeliana e i cui tentativi di fare qualcosa di diverso cadono nell’indifferenza generale. E così è felicissimo quando riceve un invito a esibirsi all’estero, salvo poi scoprire che è stato invitato da una comunità ebraica che da lui vuole solo quelle canzoni tradizionali da cui ha inutilmente cercato di fuggire.
Con in mente queste riflessioni contrastanti, arrivo dunque a Tel Aviv. Ad attenderci all’aeroporto Ben Gurion, me e i due operatori che condividono con me questa avventura, c’è Hila Noam, ex allieva di Rutu che ci assisterà durante tutta la produzione.
La prima impressione su Tel Aviv ce l’ho sulla strada che la collega all’aeroporto. A bordo della macchina di Hila, un meraviglioso fuoristrada blu tutto impolverato e dall’aria vissuta, la città che si avvicina mi ispira l’amara constatazione che il morbo globale del grattacielo ha colpito anche qui. Non ci sono ragioni per cui Israele dovesse esserne immune, né mi aspettavo di non vederne, ma sono un po’ triste ogni volta che vado in un posto nuovo e mi tocca constatare amaramente che “anche qui”. È un problema mio, ma a parte pochissime eccezioni ritengo il grattacielo più un’espressione di arroganza che una legittima espressione architettonica, e se considerata come tale di scarso valore estetico e al limite disumanizzante. Va molto meglio man mano che penetriamo all’interno della città. Abbiamo affittato un appartamentino vicino a dove vive Rutu, in un quartiere centrale. Ed è un bel quartiere, con basse case bianche di architettura modernista, molto verde lungo le strade, il cielo blu profondo a chiudere in alto. E su tutto una luce nitida e vibrante, a rendere il tutto di un’evidenza straordinaria. Prendiamo possesso del nostro appartamentino dalla proprietaria, una ragazza simpatica con deliziosa figlioletta al seguito. Una doccia, una rapida cena e una birra con Rutu più tardi, rientriamo e collassiamo definitivamente, il vero e agognato traguardo di questa prima giornata.
Giovanni Russo, coordinatore di Lucca Comics and Games
(17 giugno 2014)