Periscopio – Famiglie
Nel momento in cui scrivo, non ho notizie della sorte di Eyal Yifrach, Naftali Frankel e Gilad Shaar, i tre ragazzi rapiti e, ovviamente, mi auguro di tutto cuore che possano essere al più presto restituiti indenni alle loro famiglie, e che la brutta avventura non arrechi danno alle loro vite future. Senza che ciò voglia, in alcun modo, figurare come un cattivo presagio, mi viene però spontaneo fare un qualche parallelo tra questa vicenda – per la quale, ripeto, spero e immagino una rapida soluzione positiva – e quelle – dall’esito ben diverso – che affollano la cronaca nera italiana di questi giorni. L’Italia è scossa e traumatizzata dall’incredibile episodio di un padre di famiglia che, desideroso di ‘cambiare vita’, pensa bene di ‘azzerare’ la sua esistenza eliminando a coltellate la moglie e i due figlioletti; e prova un senso di raccapriccio e incredulità nel guardare la foto di colui che, tre anni fa, ha brutalmente assassinato la piccola Yara, continuando a fare poi la normale vita di un premuroso padre di famiglia.
Credo che, di fronte a questi orrori, la comunità nazionale provi un senso di unità, di compattamento: tutti uniti nell’esecrazione degli atroci delitti, tutti uniti nella solidarietà verso le vittime, tutti uniti nel disgusto verso i responsabili. Guardando le foto degli assassini, si ha quasi la sensazione, per certi versi rassicurante, di appartenere alla grande famiglia degli ‘altri’, dei normali, chiamati, tutti insieme, a difendersi dai ‘mostri’. E, soprattutto, a difendere da loro i nostri figli e i nostri nipoti, perché non c’è dubbio che il cuore della gente palpita molto più forte quando ad essere colpiti o minacciati sono ragazzi e bambini, tanto da fare apparire qualsiasi offesa a uno qualsiasi di loro come un colpo a tutti noi: i bambini e i ragazzi non appartengono solo ai loro genitori, ai loro fratelli e ai loro nonni, ma a tutta la collettività, sono il futuro e la speranza di tutti, chi alza la mano contro di loro colpisce tutti noi.
Ciò vale, naturalmente, in Italia come in Israele, come dovunque. L’amara considerazione che mi viene di fare è che credo che ci sia una grande differenza tra il sentimento di solidarietà e avversione che attraversa in queste ore, per i fatti ricordati, l’opinione pubblica italiana e quello che deve provare il pubblico israeliano: una differenza dovuta alla tristissima, intollerabile convinzione che, indipendentemente da quanti siano stati gli organizzatori materiali del sequestro, molti sono i corresponsabili, i mandanti o, almeno, quelli che approvano il gesto, lo esaltano, lo indicano ad esempio.
Ci hanno insegnato a non generalizzare, e, sia pure fatica, cerchiamo di non dimenticare mai la lezione, di non attribuire la responsabilità di qualcosa a una generalità di persone, a un gruppo indistinto e indeterminato. Ma è evidente l’enorme differenza che passa tra un orrendo crimine individuale – che il responsabile tiene nascosto a tutti, sperando di non essere scoperto, e che tutti, senza eccezione, fanno oggetto di pubblica esecrazione – e un delitto che vede, invece, tanti aperti sponsor, tanti ammiratori, tanti aspiranti emuli. E che ha, soprattutto, una precisa regia politica. Rectius: criminale.
Politica, criminalità. Qui in Italia siamo abituati a considerare i termini come ben distinti. Gli investigatori di Brembate, Bergamo e Motta Visconti non sono esperti di politica, e i nostri politici non sono esperti di crimine. Le autorità israeliane devono fare entrambe le cose, contemporaneamente. Enorme differenza tra i due Paesi, i due contesti, che si tende a ignorare.
Papa Francesco, che per la pace in Medio Oriente ha speso tante parole e gesti, è stato pubblicamente invitato a pronunciarsi per la salvezza dei tre ragazzi. Confidiamo che lo farà.
Francesco Lucrezi, storico
(18 giugno 2014)