catene…

Forse dovremmo fare tutti come la madre di Cesare Casella, Angela, che nell’estate del 1989 si incatenò in un paesino della Locride per protestare contro la poca attenzione per il figlio diciottenne rapito dalla ndrangheta. Perché i tre ragazzi Eyal Gilad e Naftali, tra i sedici e i diciannove anni, rapiti da Hamas sono catene che stringono il cuore, i polsi, le caviglie di ogni persona degna di essere chiamata umana. E con le catene al cuore, ai polsi e alle caviglie è davvero difficile lavorare per la pace.

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino

(20 giugno 2014)