La crociata dei falsari
In un suo blog (Arriva la terza intifada, Bocchescucite: Voci dai territori occupati, 21 giugno) Ugo Tramballi scrive: “E se con il rapimento dei tre giovani coloni israeliani fosse iniziata la terza Intifada palestinese? Lo sostiene Dan Segre, una delle poche grandi firme del glorioso “Giornale Nuovo” fondato da Indro Montanelli il 25 giugno di 40 anni fa, che ancora scrive nel “Giornale” di oggi. Dan è uno di quegli israeliani – un altro è il demografo Sergio della Pergola – con i quali ogni volta che dissento ho il sospetto di avere torto…”. Molto gentile da parte del giovane Ugo. Io, in perfetta reciprocità, penso che lui sia uno di quei giornalisti con i quali ogni volta che dissento so per certo che lui ha torto.
Non entro qui nella parte più densa della sua analisi politica, svolta sempre con tono da crociata, unilaterale e lacrimosa, ma sulla quale bisognerebbe scrivere a lungo e in maniera circostanziata. Non ora e non qui. Mi soffermo invece su un solo piccolo particolare dal quale deduco la serietà professionale e lo spessore umano di Tramballi. Il quale scrive: “I tre giovani non sono stati rapiti sul lungomare di Tel Aviv ma nei Territori occupati da 47 anni. Un israeliano che decide di viverci, in molti casi con motivazioni ideologiche, sa che corre dei rischi”. E torniamo alla già citata frase iniziale: “… il rapimento dei tre giovani coloni israeliani…”.
Allora analizziamo attentamente il testo di Tramballi su questo solo punto: la scelta e il significato del luogo di abitazione dei tre giovani rapiti e uccisi. Innanzitutto nella logica di Tramballi i coloni sono evidentemente degli esseri non legittimi, che amano prendere rischi, e dunque rapirli e ucciderli non costituisce reato, o comunque costituisce reato minore rispetto a rapire e uccidere dei non-coloni. Fin qui la caratterizzazione o meglio demonizzazione del soggetto. Ma ora esaminiamo i fatti: dove esattamente vivevano i tre ragazzi? Eyal Yfrach studiava nella yeshivah Shavei Hebron e viveva a El’ad, Naftali Frankel viveva a Nof Ayalon e studiava al liceo religioso Mekor Haiim di Gush Ezión, e il suo compagno di scuola Gil’ad Shaa’r viveva a Talmon. I due luoghi di studio si trovano in Cisgiordania. Ma dove si trovano le tre località di abitazione, dove stanno le case, i genitori, i fratelli e le sorelle?
El’ad è una cittadina israeliana nei pressi di Rosh Ha’ayn, all’interno della linea verde che demarcava il territorio di Israele prima della guerra dei sei giorni. Nof Ayalon è una piccola località fra il kibbutz di Sha’alvim e la città di Modi’in, anch’essa in territorio israeliano all’interno della linea verde. Talmon è un piccolo insediamento comunitario a nord-ovest di Gerusalemme e fa parte dell’amministrazione di Giudea e Samaria. Dunque, due delle tre vittime vivevano in Israele, non nei territori. Nella terminologia di Tramballi, due dei tre non erano coloni. Ma nell’odiosa logica di Tramballi tutti e tre lo erano, e tutti e tre costituivano pertanto normale oggetto di aggressione.
Cambia qualcosa nella sostanza dell’avvenimento? O nella sua interpretazione? Ben poco, salvo che nel suo esercizio di demonizzazione Ugo Tramballi, se fosse un giornalista serio, avrebbe potuto almeno fare i compitini di casa. Cambia poco perché per Tramballi e i suoi simili è reato non solo abitare nei territori, ma anche studiarvi, o magare farci una gita, o chiedere un passaggio alla prima autovettura in transito. O portare la kippah sul capo. O essere un israeliano orgoglioso. E dunque diventa legittimo rapire e uccidere questo tipo di persone. Ma questo esula dal giornalismo, fa già parte della guerra combattuta in cui Ugo Tramballi dimostra essere parte attiva nel ruolo di tifoso fiancheggiatore.
Sergio Della Pergola
Università Ebraica, Gerusalemme
(2 luglio 2014)